AMBIENTE

L’anguilla ormai rischia l’estinzione il Trentino vieta di pescarla per 2 anni

Reti, dighe e bracconaggio in tutta Europa l’hanno decimata. Ma per salvarla si vietano canne e lampade a gas sui nostri laghi


Luca Marsilli


TRENTO. Tacendo del groviglio normativo (una dozzina di diversi provvedimenti, succedutisi negli anni, adottati sia dalla Comunità Europea che dall’Italia che dalla Provincia di Trento, ognuno dei quali in relazione, spesso molto traballante, con gli altri) meglio passare subito alla decisione finale: per due anni (fino al 31 dicembre 2024) nelle acque del Trentino non si potrà più pescare l’anguilla. Anguilla anguilla per chi ama la precisione dei termini scientifici o anguilla europea se si preferisce quello comune. Comunque è l’unica che esista nelle nostre acque, quindi anche anguilla e basta.

Le ragioni del divieto sono da ricercare nella condizione di sofferenza importante della specie in tutto il mondo. E le cause, almeno in questo caso, sono note. Le anguille si riproducono una volta sola nella vita, tutte (pare: la scienza su questo è oggi meno unanime di qualche decennio fa) in una zona di oceano atlantico detta Mar dei Sargassi. Da lì le larve, trasportate dalla Corrente del golfo, raggiungono le coste europee e le foci dei fiumi (e torrenti, e canali) che risaliranno appena presa la forma dell’animale definitivo: molto simile a quella di un serpente. Le larve, dette ceche, hanno invece una forma a foglia di salvia. In tutta la loro vita, le anguille – il pesce di acqua dolce più caro sul mercato – sono oggetto di una pesca feroce. Le larve in foce vengono catturate da sempre con reti a cono e mangiate fritte.

Pesca vietata da anni ma praticata dai bracconieri sistematicamente: il divieto ha solo reso molto più care le ceche, vendute in Toscana sui 200 euro al chilo, e quindi valgono il rischio. Con reti fisse e trappole secolari vengono catturate le anguille in ritorno al mare, quando dopo una vita in acque interne che può durare anche 30 anni, maturano sessualmente e si avviano verso l’area riproduttiva. Con reti, nasse o cordine di fondo armate di centinaia di ami le catturano i pescatori di mestiere nei laghi e negli stagni di tutta Europa. E per finire, gli sbarramenti artificiali su fiumi e torrenti le bloccano nelle loro migrazioni dal mare a laghi e stagni, e viceversa. Insomma, una guerra totale che l’uomo ha dichiarato all’anguilla da secoli. Ora l’anguilla, come specie, vacilla. E allora si impedisce a qualche centinaio (scarso, ormai) di pescatori trentini di cercare di catturarne qualcuna pescandola in un paio di afose notti di luglio e agosto, meglio se senza luna.

Detto che sul Garda già la pesca era vietata per ragioni di contaminazione da diossine delle loro carni, venivano ancora pescate a Caldonazzo e Terlago, per citare i laghi più grandi, ma anche in un po’ tutte le acque ferme fino ai 1000 metri di quota. Una pesca molto tradizionale: dal tramonto fino alla mezzanotte le ore migliori, campanellini sulla vetta della canna per sentire l’abboccata o, i più sedotti dalla modernità, galleggianti luminosi. Esche rigorosamente animali: lombrichi e pesciolini morti le più usate. Cose pochissimo moderne: puzzano e lasciano le mani che fanno schifo. Cosa che complica addentare i panini e bere la birra, complementi essenziali delle pescate all’anguilla, quasi sempre fatte in compagnia. Comunque, per due anni non si potrà nemmeno più pensarci. Poi si vedrà, ma si accettano scommesse. Visto che la pesca dilettantistica incide forse per l’1 per mille sulla popolazione di anguille e che la pesca commerciale continua e le dighe non vengono demolite, tra due anni la situazione sarà peggiore di quella di oggi. Quindi forse sarà introdotto anche il divieto di ricordare di averle pescate.

Per inciso, il divieto totale viene richiesto a quelle regioni (e provincie autonome) che non hanno aderito nel 2007 al Piano Nazionale di gestione dell’anguilla: non avevano partecipato visto che la presenza di questo pesce da loro era quasi irrilevante. A chi aveva aderito si chiede solo di sospendere la pesca per 3 mesi su 12. Quindi chi praticamente non ha anguille in casa deve smettere di pescarle, chi invece ne ha lo farà serenamente, per 9 mesi su 12. Sono quei rompicapi di logica che rendono così intrigante cercare di capire quest’epoca. Con un divieto di cacciare la tigre di Sumatra sul Bondone e l’elefante nano del Borneo in Vallarsa, il Trentino potrebbe forse contribuire in modo determinante a salvare anche quelle specie, ormai sull’orlo dell’estinzione.

 













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