TRENTINI DOC

«Io penso positivo». La battaglia infinita di Graziella Anesi

Tutta la vita in carrozzina, a lottare per i diritti dei disabili «Ho ereditato quest’energia dai miei genitori: l’accoglienza»


di Paolo Mantovan


Ai genitori, quando nacque, dissero che avrebbe avuto solo tre anni di vita. Era il 1955. Graziella Anesi ora lo racconta con un lieve sorriso che le illumina gli occhi, ma che fa intravedere anche tante lunghe battaglie. «Io però ho sempre avuto uno sguardo positivo». Già. È quella la sua forza. Contagiosa.

Graziella Anesi soffre di osteogenesi imperfetta dalla nascita. «È una fragilità del tessuto osseo con una suscettibilità alle fratture di grado variabile: beh, la mia forma è di grado elevato... Quando sono nata presentavo già sette fratture». Padre operaio e mamma casalinga, i genitori di Graziella ovviamente si rivolsero subito ai medici, che proposero di affidare la neonata a un istituto. «Ma dentro un istituto potrà godere di cure che la faranno migliorare?» chiesero i signori Anesi. Risposta negativa. «E allora ce la teniamo a casa nostra» disse la mamma. Graziella nei primi tre anni di vita è stata ingessata 23 volte, vedeva il cielo delle stanze della casa di Baselga di Piné e, sempre stando in carrozzina, ha imparato a leggere e a scrivere grazie agli insegnamenti della mamma (la scuola era barrierata, ovvio) per poi perfezionarsi con le lezioni di un maestro che andava a casa sua due volte la settimana. Graziella ancora oggi è in carrozzina, in posizione semi-sdraiata, ma adesso gode di grande autonomia, non solo di pensiero.

«La positività che mi ha sostenuto in tutti questi anni - dice Graziella mentre ti guarda diritto negli occhi - l’ho ereditata dai miei genitori. Avevano una grande apertura mentale: hanno sempre tenuto aperta la porta, in casa nostra c’era gente che andava e veniva a tutte le ore e io crescevo confrontandomi con tutti. Ovviamente ho poi studiato e letto tanto, tantissimo».

L’autonomia arriva soltanto nel 1987, con la prima carrozzina a motore. «Uh! Lì è cambiata la vita, anzi io dico che è stata la mia “seconda vita”. Vuoi mettere? Mi sposto e vado dove voglio da sola... A proposito: vuoi un caffè? Adesso prendo le tazzine».

Il 1987 è l’anno della svolta per Graziella Anesi: non solo la carrozzina a motore, ma anche tanti nuovi rapporti. Nel 1987 conosce anche Natale Marzari. «Io ho fatto un corso di informatica, di quelli lanciati da Luigi Pitton, e con Natale Marzari abbiamo dato vita alla “Siarta”, una cooperativa di produzione e lavoro che organizzava corsi di informatica per dare lavoro a persone disabili». Ma dove li facevate i corsi? «Mamma mia! Pensa che andavo in piazza Centa alla sede dei pompieri: palazzi sbarrierati praticamente non ce n’erano...». Appunto. Natale Marzari fonda la Siarta, la porta in via Suffragio, in pieno centro storico a Trento, e da lì lancia la sfida a tutta la comunità, prendendo a martellate marciapiedi e scalini. «Guarda che Natale non è mai andato contro qualcosa prima di aver avviato almeno un tentativo di conciliazione, una richiesta, una minima forma di trattativa...». Sì, però Marzari “spacca” la comunità trentina, e finisce più volte sotto processo, perché quelle martellate non si fermano ai gradini di un palazzo... E Graziella che fa? «Io avevo il ruolo di mediatrice. Arrivavo spesso dopo. Una volta l’ho visto rompere i gradini del tribunale. Ma voi vi rendete conto di cosa siano i gradini? Lo capite che cosa è una barriera? È esclusione. Ecco io portavo avanti la comprensione di un diritto. Ho imparato tanto. Tutto quel periodo mi ha fatto molto bene».

Che poi non è stato un periodo felice: Graziella ha raggiunto l’autonomia ma ha perso i genitori. «Sì, nell’85 è morto papà e si è gravemente ammalata la mamma». Però è rimasto il fratello-fratellone, no? «Sì - dice aprendosi in un sorriso larghissimo - Sergio è sempre stato con me: non mi ha mai lasciato sola, lui e tutta la sua splendida famiglia». Che poi è la famiglia di Graziella, che vive lì di fronte a lei, a Baselga. Sergio, sì, per dieci anni sindaco di Piné, organizzatore delle universiadi invernali in Trentino. Ecco, energie tante in famiglia... «Sì, energie tante» conferma. E infatti la mattina Graziella scende a Trento per andare a lavorare e poi torna a Piné nel tardo pomeriggio. Perché Graziella Anesi è la fondatrice nonché presidente di Handicrea, la cooperativa con sede in via San Martino a Trento che ha vinto tante battaglie per i diritti dei disabili. Tante consulenze, la segnalazione di situazioni di difficoltà o ingiustizie. «E poi facciamo un grosso lavoro di mappatura: abbiamo rilevato più di 1300 strutture in Trentino che hanno accessi al pubblico». Così si costruiscono le informazioni che possono fare da guida a chi cerca strutture sbarrierate. «Eh, non sai quanti turisti ci chiamano per sapere se il castello del Buonconsiglio è sbarrierato». Sì, però anche sull’ascensore è esplosa una polemica che riguarda l’estetica... «Accidenti, lo so. E si combatte sempre contro questa visione del rispetto della storia. Ma, scusate, io dico, se andate da via della Cervara e guardate il castello da dietro, lo vedete quanto è cambiato nel corso dei secoli? Lo vedete quanti aggiustamenti vi sono stati a seconda delle esigenze delle diverse epoche? Ebbene ora l’esigenza è renderlo accessibile a tutti perché bellezza e cultura siano di tutti!».

Sempre determinata, Graziella. «Vuoi dire che sono un po’ una rompiballe, vero?». Beh. In senso buono, eh. «Le rompo ancora le scatole, sì. Perché ai tempi della Siarta c’era da affermare un diritto, ora c’è l’idea sbagliata che tutto sia risolto. E invece non è così! Guarda tante nuove costruzioni: viene spesso calcolato lo spazio al minimo, vale sempre il concetto dell’estetica rispetto a quello della funzionalità, e così anche l’altro giorno mi sono confrontata con una persona che mi diceva: ho fatto l’ascensore il più piccolo possibile perché ho poco spazio, e io le ho risposto: ah brava, vergognati!, guarda, lo vedi che io con la mia carrozzina non ci passo?».

«Ma preferisco fare la rompiscatole con i fatti. Magari rispiegando tante volte le cose. Perché la durezza può servire in casi estremi, ma in generale non va bene: sono convinta che è quando si capiscono davvero le cose che si va avanti». Ci vuole volontà e pazienza. «Una mia collega mi chiama Penelope: ahahaha, mi fa un po’ ridere, però è vero, così son fatta». Scusa Graziella, se mi permetto, ma in un certo senso, non ti senti di avere anche un punto di vista tutto tuo? Una “diversamente” visione delle cose? Anche con qualche “vantaggio”? «Molti mi dicono che so cogliere il carattere delle persone. Ed io sono convinta che bisogna parlare con la lingua degli altri. Quando le cose si combinano c’è chi mi sente accogliente. E allora c’è chi si confida, soprattutto genitori di disabili, perché riesco a parlare con la lingua degli altri. Allora sì che sento di essere una privilegiata, se è questo che volevi dire. E adesso beviti questo caffè».













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