L'INTERVISTA maurizio virdia medico di base 

«Io, dottore con 7 ambulatori in val di Cembra» 

Sanità. Così funzionano i servizi nelle valli, a 15 minuti da Trento «Teniamo duro per non abbandonare i nostri pazienti, ma sui nuovi progetti per il territorio è ora di passare dalle parole ai fatti» 


andrea selva


Nell’epoca in cui ci sono parroci con 10 parrocchie, ci sono pure medici di base con 7 ambulatori. Come Maurizio Virdia, 63 anni, che in valle di Cembra, lungo la sponda sinistra dell’Avisio, si sposta fra Albiano, Lases, Lona, Segonzano, Sover, Monte Sover e Piscine. La persona giusta per farsi raccontare com’è la sanità nelle valli trentine. Dove il territorio è complicato già a un quarto d’ora di macchina da Trento.

Dottor Virdia, quanti pazienti ha?

Ne ho 1.500, cioè la quota massima per un medico di base. Una cifra che ormai – vista la carenza di medici – è praticamente uguale per tutti. Ma nel mio caso questi pazienti sono distribuiti su una valle di 25 chilometri che va da Albiano a Piscine, una situazione molto diversa rispetto a quella di un medico di città.

Sta spesso in macchina?

A fine dell’anno scorso Google mi ha avvisato che nel 2019 ho fatto spostamenti pari al 48 per cento del giro del mondo. C’è sicuramente gente che viaggia di più, ma le assicuro che fare quei chilometri in valle di Cembra non è semplicissimo.

La convenzione con l’Azienda sanitaria prevede tutto questo?

No, la mia sede è a Lases, dove c’è il mio ambulatorio principale. Potrei anche non muovermi da qui, ma ci sono pazienti anziani, persone che non hanno l’auto, i mezzi pubblici non sono sufficienti. Che dovevo fare?

Che ha fatto?

Ho aperto questi ambulatori, naturalmente con il sostegno dei comuni interessati.

Così capita che a Piscine, frazione di cento abitanti, ci sia un ambulatorio medico.

Esattamente, in un “volto”. Ci vado una volta alla settimana, il giovedì, e trovo la sala d’attesa sempre piena.

Come funziona la sua giornata?

Comincia al mattino presto e finisce la sera. Ci sono giorni – come il lunedì – che visito in cinque ambulatori, negli altri giorni mi fermo a tre.

Non c’è nessuna differenza fra un medico di città e un medico delle valli?

Nessuna. E’ vero che gli ambulatori aggiuntivi – in cui visito per mia scelta – sono messi a disposizione dei Comuni, ma le spese per l’auto le metto io. E anche il tempo trascorso al volante, che non è trascurabile.

Detta così pare una vitaccia…

Sì, ma a me piace e – per mia fortuna – ancora mi entusiasma. Trovo le energie anche per fare il volontario della Croce Rossa (ha la ricetrasmittente accesa sulla scrivania dell’ambulatorio, ndr). Trovo che sia un lavoro appassionante, purtroppo soffocato dalla burocrazia: l’azienda ci impone una serie di certificazioni “inutili”. Se l’anno scorso ho prescritto i pannoloni a una persona incontinente, devo ripetere la prescrizione quest’anno. Lo stesso per i diabetici. Come se queste persone guarissero. La ricetta dematerializzata (che non prevede il passaggio in ambulatorio) è stata la nostra salvezza, ma purtroppo non vale per tutte le prestazioni.

Lei è sposato con un ex medico ospedaliero. Che idea si è fatto delle due realtà?

Mia moglie è andata in pensione a 62 anni. E’ un ottimo medico, è in buona salute, avrebbe potuto restare al lavoro, ma a sessant’anni i turni, le notti e le domeniche diventano pesanti. Eppure le devi fare perché manca personale. I medici come me sono più liberi, ci organizziamo il lavoro come vogliamo, ma ci sono anche gli svantaggi: siamo soli, se c’è un problema non posso chiedere una mano al collega nella stanza accanto, niente ferie, niente malattia, ci dobbiamo preoccupare anche del toner della stampante e provi a immaginare cosa vuol dire questo con sette ambulatori.

Per le sostituzioni come fa?

C’è un’ottima collaborazione reciproca con il dottor Graziano Villotti, sulla sponda opposta della valle, un collega con cinque ambulatori, degli anni Cinquanta pure lui. Trovare un sostituto per i periodi più lunghi invece non è facile, ma per fortuna ci sono i miei tirocinanti che sono giovani, e dopo un mese di lavoro con me sanno come affrontare questa situazione.

L’età elevata dei medici è un problema?

Le rispondo con un dato: in valle di Cembra siamo in sette medici, ma nei prossimi anni ce ne andremo in pensione in quattro, tutti degli anni Cinquanta. Non sarà facile per l’Azienda sanitaria sostituirci.

Come si fa a rendere appetibili queste zone?

L’azienda dovrà metterci del suo, sul fronte dell’assistenza territoriale bisogna passare dalle parole ai fatti. Ma quando me andrò io, chi andrà in ambulatorio a Sover e Piscine? Chi glielo farà fare?

A lei chi lo fa fare?

Ormai non mi sento di lasciare i miei pazienti, soprattutto gli anziani. E’ una valle difficile, ma è anche la valle in cui faceva il medico condotto mio padre Pietro negli anni in cui un medico doveva fare di tutto, compresi i parti in casa.

Anche i pazienti sono molto diversi.

Le cartelle dei nuovi pazienti anziani sono spaventose: tante patologie diverse, tanti farmaci. Pazienti che una volta non c’erano, semplicemente perché non sopravvivevano, ma che ora impegnano enormemente le risorse della sanità pubblica: il 10% dei pazienti impegna il 75% delle risorse. L’emergenza non è in arrivo, ma è già arrivata. Anche sul fronte delle cure palliative che conosco molto bene.

Quali soluzioni immagina?

Ambulatori centralizzati, con orari di apertura molto ampi. Quello che purtroppo non siamo riusciti a fare qui in valle di Cembra. Ma poi bisogna intervenire con i trasporti: possiamo chiudere i piccoli ambulatori, ma dobbiamo portare i pazienti nell’ambulatorio centrale. Questi sono i progetti, ma bisogna passare dalle parole ai fatti.















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