I tecnici della «soluzione finale»

Così l'industria tedesca progettò e realizzò i forni crematori di Auschwitz


Giorgio Jellici


«Nei vasti campi di concentramento, allestiti per motivi bellici ad est del Reich, nei territori occupati, la mortalità è altissima e la sepoltura in terra dell'ingente quantità di cadaveri non è più praticabile: primo per mancanza di spazio e carenza di personale, secondo per il pericolo d'infezioni nelle zone limitrofe. È pertanto indispensabile eliminare le masse di cadaveri in modo rapido, sicuro, igienico, a costi minimi, tramite incenerimento». Con questo esordio burocratico e glaciale l'ing. Fritz Sander della ditta Topf & Söhne di Erfurt (città industriale al centro della Germania, a venti chilometri da Weimar e cento da Lipsia) inizia il 4 novembre 1942 la motivazione della sua domanda di brevetto d'un nuovo forno in grado di cremare rapidamente grandi quantità di cadaveri. E mentre depone la penna sul suo tavolino da disegno, l'ing. Sander vede il fumo giallognolo salire del campo di concentramento di Buchenwald (Weimar), dove egli ha già potuto installare un forno crematorio.  La ditta Topf & Söhne era stata fino all'inizio della guerra una rinomata impresa, specializzata nella costruzione d'impianti per birrerie, sili per foraggi, macchinari vari e per la cremazione d'ogni sorta di cadaveri. Nel 1940, senza pressione esterna - e anche senza scrupoli morali - solo spinta da motivi di profitto, la ditta decise di collaborare con la direzione delle SS e subito poté somministrare forni ai campi di Dachau, Buchenwald, Gusen e Auschwitz. Già nel 1941 ricevette l'ordinazione del crematorio 2, per il campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau: cinque enormi forni a tre camere ciascuno. E gli ingegnosi ingegneri della Topf & Söhne escogitarono un modello che avrebbe dovuto funzionare come una catena di montaggio: evitava cioè, con grande risparmio di tempo, le operazioni di carica e inserimento dei cadaveri uno alla volta e di svuotamento dei residui dalle camere di combustione, e risparmiava energia perché erano i cadaveri stessi a fornirla, durante la propria cremazione. Successivamente la ditta iniziò ad occuparsi anche degli impianti per le camere a gas e ad organizzare le forniture di acido cianidrico (Zyklon B). Perfezionò minuziosamente gli sfiati in modo da permettere un più frequente succedersi delle ondate di prigionieri stipati nelle camere della morte.  Nella corrispondenza fra la ditta e i capi SS si parla sempre, eufemisticamente, di "bagni per azione speciale". Ma nelle lettere interne fra i comandanti SS Karl Bischoff e Hans Kummer, ad esempio il 29 gennaio 1943, è impiegato il termine "Vergasungskeller" (cioè: cantine per uccidere con il gas). I forni crematori di Auschwitz-Birkenau raggiunsero la capacità gigantesca di circa 4.500 cadaveri al giorno ed i tecnici della ditta fornitrice erano in permanente trasferta ad Auschwitz per seguirne il funzionamento. Ecco cosa riferì nel 1946 Karl Schulte, ingegnere capo della Topf & Söhne, alla commissione sovietica: «...restai ad Auschwitz cinque giorni... dovevo controllare il funzionamento delle camere a gas e ciò fu solo possibile quando arrivò un altro trasporto di circa 300 persone, che furono subito uccise nella camera a gas. Mi potei render conto che i nuovi sfiati lavoravano alla perfezione e le SS li accettarono senza obiezioni...».  Ora, dopo anni di discussioni, difficoltà e di indagini, un gruppo di ricercatori è riuscito a convincere la città di Erfurt a restaurare il fabbricato degli ex uffici della Topf & Söhne (scomparsa da decenni) e di farne un "luogo storico". Così il 27 gennaio 2011, esattamente sessantasei anni dopo che l'Armata Rossa tagliò i fili spinati di Auschwitz, è stata inaugurata a Erfurt la mostra permanente "I tecnici della 'soluzione finale'. Topf & Söhne - Costruttori di forni per Auschwitz". Essa occupa due piani dell'edificio. E con essa sono tornati al loro posto di nascita - restituiti in parte dai russi, in parte dagli alleati - gli attestati della collaborazione con le SS. Si possono ascoltare registrazioni di testimonianze di sopravvissuti allo sterminio. Sono visibili foto e filmati della famiglia Topf, del personale della ditta, dei comandi SS che passavano le ordinazioni e dei 600 prigionieri ucraini addetti alla produzione. Liste di spedizione di pezzi di ricambio inviati ai rispettivi campi, note telefoniche firmate, controfirmate, bollate in rosso e blu e scritti con il marchio "Segreto!", protocolli della direzione dei lavori SS, disegni di differenti forni e camere a gas. Insomma le prove chiave del genocidio su base industriale.  È questa la prima mostra al mondo che documenta il letale intreccio fra l'industria privata ed il regime nazista. Intreccio che induce a riflettere, perché né i proprietari della ditta, e nemmeno i dirigenti ed il personale addetto alla produzione dei forni e delle camere a gas erano nazisti fanatici o radicali antisemiti. E tanto meno agirono sotto la pressione di ordini perentori della dittatura: i documenti dimostrano che avrebbero potuto troncare le relazioni con le SS senza gravi conseguenze. Resta quindi la domanda inquietante: perché lo fecero? Innanzitutto per semplice interesse economico e personale. Quanto alla coscienza, bastò loro sapere che lo sterminio degli ebrei era voluto dallo Stato. Dal Führer. A ciò si aggiunse lo stimolo procurato da un arduo problema tecnico-quantitativo da risolvere, che stuzzica sempre - come si sa - l'ambizione degli ingegneri. Il tutto condito con la freddezza d'animo e l'assenza d'un sentimento d'umanità verso i "nemici naturali" (gli ebrei). E così la mostruosità fu amministrata come cosa normale. Si misero al lavoro centinaia di solerti specialisti, senza i quali lo sterminio in massa su base industriale non sarebbe stato possibile.  La mostra è perfetta. E, di conseguenza, impressionante. Vale un viaggio ad Erfurt. In un rapporto interno, "segreto", dell'8 settembre 1942, un ingegnere informa la direzione della Topf & Söhne sulla capacità di tre forni in funzione con "250 al giorno", di cinque altri in costruzione con "800 al giorno" e di altri due in stadio di progetto "con 800 ciascuno al giorno". Le nude cifre stanno a indicare esseri umani assassinati.  

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