I detenuti si raccontano. Come un libro
In piazza Duomo la «biblioteca vivente» per abbattere i pregiudizi. E il finto muro per riflettere sulle barriere
I detenuti hanno seguito un percorso di formazione, sia attraverso lavori di gruppo che approfondimenti personali. Maggi ha spiegato il ruolo degli operatori: «Aiutiamo a far emergere alcuni episodi di vita, a costruire una cornice che li colleghi e a ideare il “titolo” della propria storia. Ma sono i “libri viventi” a decidere cosa mostrare e fino a che punto spingersi». La forma del colloquio tra “libro vivente” e “lettore” sembrerebbe molto leggera, ma Maggi spiega che l’apparenza inganna: «Abbiamo pensato ad uno “strumento gentile” che non vada a sbattere in faccia la realtà dolorosa del carcere, ma dal momento in cui la “lettura” comincia, il “lettore” affronta una voragine, racconti terribili che spesso lasciano in lacrime». Sul parlare o no del reato compiuto, Maggi sottolinea come la scelta sia del “libro vivente”: «Anche solo il fatto di riflettere su un fatto così cruciale della propria vita è molto importante». C’è poi chi fa domande e chi si limita ad ascoltare, indirizzando il racconto con le sue parole e i suoi silenzi. Tuttavia, sottolinea Maggi, questa “lettura” non è un dibattito: «Se il lettore chiede un parere su un tema, il “libro” risponderà con una parte del suo racconto». Un’altra caratteristica della Biblioteca vivente è il suo carattere effimero: la lettura dura qualche decina di minuti al massimo e non ne resta niente di tangibile. Eppure, sottolinea Maggi, «Chi ha letto un “libro vivente”, non dimenticherà mai il suo racconto». L’assessore alle politiche sociali del Comune di Trento Mariachiara Franzoia commenta l’iniziativa: «L’allontanamento del carcere dalla città ne ha comportato anche un allontanamento dalle coscienze. È un tema che poi si presta a strumentalizzazioni politiche e a banalizzazioni». Domenica Primerano, direttrice del Diocesano, descrive le iniziative per favorire la conoscenza del carcere: «La Biblioteca vivente accompagna la nostra mostra “Non solo ombre, persone”, in cui fotografie scattate a Spini e pensieri scritti dai detenuti accompagnano verso una maggiore consapevolezza di questa realtà. A chi sostiene che un carcere come quello di Spini sia un “albergo a 5 stelle” solo perché offre buone strutture, direi, provi ad entrarci e a rinunciare alla libertà».