«Giovani a rischio depressione La scuola riapra e li accolga» 

Il caso della settimana. Roberta Bommassar, psicologa, riflette sull’emotività turbata dei ragazzi “reclusi”: «I più deboli possono autoisolarsi ancora di più. Al rientro in classe i professori li facciano parlare di quanto accaduto»


Luca Petermaier


Trento. «Questi giovani vanno rivitalizzati. Cominciano a dare segnali di sindromi depressive». La dottoressa Roberta Bommassar, presidente dell’Ordine degli psicologi della provincia di Trento, alza la soglia dell’attenzione sulle possibili conseguenze emotive che questa seconda reclusione forzata da Covid potrebbe avere sugli adolescenti trentini. Senza esagerare - «perché i giovani hanno incredibili capacità di compensazione» - la dottoressa non si nasconde che il rischio che qualche ferita nell’anima rimanga aperta si profila all’orizzonte.

Dottoressa, lo stato d’animo più comune degli adolescenti reclusi in casa con la didattica a distanza è la noia. Lo ammettono loro stessi. Una noia tale da renderli quasi apatici, tanto che - benché possano uscire dopo le lezioni e incontrare gli amici - molti di loro preferiscono starsene chiusi in casa. Cosa sta succedendo a questi ragazzi?

La noia è una reazione fisiologica ad un eccesso - in questo caso la lontananza forzata dagli amici - che i ragazzi non avvertono più come sano.

L’euforia del non andare a scuola dell’inizio che diventa ora lontananza malsana...

Esatto. Quando uno entra nel percorso scolastico sa che ci deve stare 13 anni. Tanto tempo. È normale, quindi, che nei ragazzi subentri una forma di piacere di fronte ad un cambiamento forte come la quarantena. È ciò che è successo in primavera. Quando però la fase di cambiamento si trasforma in abitudine - ed è questa seconda fase di didattica a distanza - allora succede una cosa strana: che i ragazzi chiedano di ritornare a fare una cosa che prima avvertivano come un obbligo, ovvero tornare a scuola.

Tutto normale quindi?

Non proprio, perché c’è anche il rovescio della medaglia. E cioè che il bisogno vero di relazione non si esaurisce con incontri davanti ad uno schermo o con stanchi ritrovi pomeridiani. La scuola in presenza ha un ruolo ben preciso nella formazione della personalità degli adolescenti. L’adolescenza è per definizione la fase di distacco dalla relazione genitoriale. E questa relazione di compie quando i genitori vengono sostituiti con l’altro. E l’altro è il gruppo di pari. E dove lo incontri? A scuola.

Il Covid, quindi, colpisce gli adolescenti nel loro punto più fragile?

Diciamo che va a toccare l’area di sviluppo emotivo ed esperienziale che è la palestra in cui gli adolescenti si misurano, pur tra grandi fatiche. Quindi sì, è il punto più debole.

E colpisce tutti allo stesso modo?

No. Gli adolescenti che hanno più difficoltà a confrontarsi col mondo esterno vivono molto meglio di altri questa nuova fase senza scuola né confronti con gli amici. Ci stanno bene. Ma si corre un grave rischio...

Quale?

Che questo obbligo forzato e ripetuto di stare in casa possa accentuare fenomeni di tendenza all’autoisolamento già presenti in qualcuno. È il fenomeno noto come “hikikomori”. Quando noi prendiamo in carico questi ragazzi l’obiettivo è fare tutto il possibile per tirarli fuori di casa. Se oggi, invece, sono addirittura obbligati dalla legge a stare isolati, beh, diventa tutto tremendamente più complicato.

Quella scuola che adesso manca, che ruolo dovrà avere al rientro?

Dovrà farli parlare, questi ragazzi. Farli aprire. Dare spazio alla loro necessità di confrontarsi su quello che è successo. Mi auguro che i professori lo capiscano e abbiano l’accortezza di mettere da parte un po’ di didattica.

Qualche protesta di giovani c’è stata, ma comunque molto contenuta nonostante quanto sta accadendo abbia una portata epocale. Gli stessi rappresentanti di istituto che abbiamo intervistato ieri ci hanno risposto che questo non è il momento delle manifestazioni perché c’è da combattere il virus. Posizione di grande maturità. Forse anche troppo?

Confesso di essere rimasta molto colpita da queste proteste per...rientrare nella normalità. L’esatto contrario della spinta al cambiamento dei movimenti studenteschi. Le risposte che hanno dato i ragazzi dimostrano la potenza distruttiva di questo virus anche sotto il profilo emotivo. Una risposta di quel tipo contiene un classico elemento depressivo che, questo sì, è preoccupante. Questi ragazzi vanno rivitalizzati.

Ora si parla di un ritorno della didattica in presenza al 50% a gennaio. I giovani che abbiamo intervistato non sembravano molto entusiasti. Dicono che quella non è vera scuola. Esagerano o il rischio è quello?

Non credo esagerino. L’apprendimento è un processo collettivo. Avviene con scambi di idee, stimoli, associazioni. Il pensiero dell’adolescente funziona nel mondo del possibile. Questo processo si attiva nella circolazione di idee ed emozioni. È chiaro che una scuola monca, a metà, è un surrogato di quella normale e quindi anche i nostri ragazzi la vivono così. Pensare che vada bene una scuola al 50% in presenza può essere pericoloso a lungo andare.













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