Farmaci rubati, trentina assolta 

La sentenza in appello. Era cliente di un ginecologo padovano che l’aveva indirizzata da una complice per acquistare Meropur, un medicinale contro l’infertilità. L’indagine aveva accertato che proveniva dalla Farmacia ospedaliera



Trento. Aveva acquistato dei farmaci risultati rubati ed era stata incriminata e poi condannata per ricettazione. Al processo di appello però la donna trentina ha visto riconosciute la propria posizione di buonafede ed è stata assolta.

La vicenda è nata quasi dieci anni fa quando la donna, una trentina allora già ultraquarantenne, volendo intraprendere una gravidanza si era iscritta a una community sul web attraverso la quale era entrata in contatto con un ginecologo e poi con un’operatrice sanitaria padovana che le aveva procurato delle confezioni di Meropur, un medicinale utilizzato per il trattamento dell’infertilità. Stabiliscono un primo appuntamento a Padova, in un bar dove la donna acquista per 330 euro sei scatole del farmaco, nell’aprile del 2010, altre due confezioni la settimana successiva (pagando 110 euro), con un appuntamento in un ristorante di Mestre, mentre a luglio dello stesso anno è la stessa infermiera che le recapita a casa altre 15 scatole, al prezzo di 60 euro l’una. Ciò che la donna non sa è che quei farmaci vengono prelevati dalla Farmacia ospedaliera di Padova, dove viene scoperto l’ammanco e partono le indagini della Procura. Nell’agosto del 2010 a casa della donna trentina si presentano gli investigatori di Padova che le sequestrano le otto confezioni residue di Meropur. L’operatrice sanitaria, grazie a prescrizioni contraffatte, ritirava i costosi medicinali dalla farmacia dell’ospedale e li vendeva alle pazienti di un ginecologo amico, donne che per ragioni di età non avrebbero avuto diritto ad ottenere il farmaco gratis. Tra le clienti del medico figurava anche la donna trentina, che era stata così accusata di ricettazione, avendo acquistato i medicinali rubati (o comunque ottenuti con una frode) e portata a giudizio dalla Procura patavina. In primo grado, la donna era stata riconosciuta colpevole del reato di ricettazione: secondo i giudici anche nel ruolo di acquirente la donna aveva consapevolezza di non avere diritto di ricevere i farmaci in via gratuita (aveva 48 anni all’epoca dei fatti), ponendoli a carico del servizio sanitario nazionale. L’escamotage del ginecologo sarebbe consistito nell’inviare la cliente dall’operatrice sanitaria, che veniva fatta passare come una paziente che non aveva completato il ciclo di cure con Meropur e pertanto disponeva di confezioni avanzate. Questo aveva spiegato anche la donna trentina, che si è detta convinta di aver ritirato (pagandoli a prezzo pieno) farmaci non utilizzati. Ma la quantità di scatole, avevano osservato i giudici, era tale da non poter far ritenere tutte quelle confezioni una semplice rimanenza. La donna trentina aveva comunque sostenuto la propria buonafede, collaborando con le indagini e ammettendo tutto, ma ciò ha pagato non nel processo di primo grado, conclusosi con una condanna a due mesi di reclusione e 100 euro di multa e a un risarcimento di 1.500 euro all’Asl di Padova, costituitasi parte civile. Nel ricorso invece, il legale della donna, l’avvocato trentino Claudio Tasin, è riuscito a persuadere i giudici della Corte d’appello di Venezia della assoluta buonafede della sua cliente, che è stata assolta dalle accuse. GI.L.













Scuola & Ricerca

In primo piano