Edicola di Port’Aquila, i Mosna passano la mano

In 17 anni hanno coperto 61.200 ore di lavoro: «E’ tempo di ritirarsi» La rivendita, anni addietro, vendeva più Topolini di tutte le altre messe insieme


di Giorgio Dal Bosco


TRENTO. Chiude? No, vende. Deciso. A Port’Aquila, alla rivendita numero 2 della città, ci potrebbe essere a brevissimo tempo il cambio della guardia. Una chiusura definitiva in Port’Aquila sarebbe davvero un gran peccato, ma Annamaria Mosna e suo marito Michelangelo, l’uomo dai baffi a manubrio, sono davvero stanchi e vogliono mollare tutto. Stanchi. Non delusi che è altra cosa. Il posto, infatti, a ridosso di cinque fermate dell’autobus, a due passi dal Castello del Buonconsiglio, crocicchio di gran passaggio automobilistico con possibilità di veloce sosta o con relativi parcheggi, bar, negozi di verdura, di pane, la rivendita ha sempre reso bene. Quando in collina al posto dell’attuale casa di riposo v’era l’ospedalino, quella rivendita, lì da oltre 60 anni, da sola vendeva più “Topolino” che tutte le rivendite della città messe assieme. E’ una rivendita storica testimone e sentinella di tanti avvenimenti anche nazionali e delle tante modifiche urbanistiche che in zona si sono susseguite. Tanto per dire: davanti a quell’edicola sono transitati i ciclisti di alcune tappe leggendarie del Giro d’Italia, sopra tutte quella famosa del Bondone. La borghesia trentina andava a mangiare al mitico ristorante Gius che si trovava proprio di fronte. I coniugi titolari, però, sono stufi. Dodici ore ininterrotte, dalle 6,30 alle 18,30 senza pausa di mezzogiorno, per 17 anni sono davvero pesanti, senza contare – si lamentano – della scarsa elasticità di orari e di chiusure concesse da chi di dovere. Hanno fatto due conti: hanno lavorato padre, madre e figlio 61.200 ore, il triplo di quello che lavora normalmente un operaio. Avevano acquistato la licenza nel 1995 da un giornalaio roveretano che a sua volta l’aveva rilevata dal famoso edicolante Gadotti. Stefano, il figlio di Annamaria e Michelangelo, aveva tenuto botta per un paio di anni, ma era troppo giovane per rimanersene lì fermo tutto il giorno. E quindi gli erano subentrati i genitori. Un edicolante dovrebbe essere una spugna dei giudizi e commenti della gente, ma Michelangelo no. «Conosco per nome e cognome soltanto tre-quattro clienti fissi. Non ho mai curiosato né ho mai ascoltato i pettegolezzi», garantisce lisciandosi i baffi da Cecco Beppe. Poi sbotta: «C’è un solo episodio che, anche a non volerlo, mi è rimasto impresso nella memoria. Un paio di anni fa un cliente acquista “Trentino” e, letto il titolone di prima pagina, digrigna i denti a leggere i guadagni dei politici locali. Gli dico che ha ragione da vendere ad arrabbiarsi e gli indico un loro rappresentante, mio abituale e sostanzioso cliente, che ha appena svoltato l’angolo dell’edicola. Forse quel politico aveva le orecchie lunghe, sta di fatto che da quel giorno non mi ha più comperato nemmeno un francobollo».

Dunque si volterà pagina. Nasce però una domanda: c’è qualcosa che si è inceppato in certe edicole? Dopo le polemiche dell’edicola di via Grazioli c’è la chiusura dopo 44 anni al Ponte dei Cavalleggeri dove il titolare – ci raccontò - aveva chiesto ripetutamente la licenza edilizia per rifare a proprio spese quel bugigattolo ottenendo, però, un no dal Comune.

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