Banca licenzia il direttore per un prestito di troppo  

Il caso in Cassazione. L’uomo, alla guida della filiale, aveva concesso 10 mila euro ad una donna  che era una sua dipendente. I soldi sono finiti a lui come pagamento delle quote di una società



Trento. Un prestito che non avrebbe dovuto firmare e un passaggio di soldi in contanti oltre i limiti consentiti. Due elementi che hanno portato al licenziamento di direttore di filiale di una banca trentina. Che si è opposto alla decisione del suo datore di lavoro, ritenendola illegittima, con un ricorso in appello e quindi anche in Cassazione. Appelli che sono stati entrambi respinti.

La vicenda ruota attorno ad un prestito da 10 mila euro. Un prestito richiesto ad una banca per poter acquistare - così sarebbe stato indicato nella documentazioni - dei mobili. La donna si rivolge ad una filiale dell’istituto di credito. Che non sarebbe stata scelta a caso. Il direttore (che è poi il licenziato) è legato da un rapporto professionale con la donna. In pratica lui è amministratore e socio di maggioranza di una srl, srl della quale la donna e anche il di lei fidanzato sono dipendenti. Un rapporto quindi che avrebbe dovuto portare il direttore ad un atteggiamento diverso rispetto all’elaborazione della richiesta di prestito. In base alla ricostruzione che è stata fatta, e che ha portato al licenziamento, l’ex direttore della fifliale avrebbe dato il suo benestare al prestito alla donna perché quei soldi sarebbero dovuti arrivare a lui. In pratica la motivazione della richiesta di denaro - l’acquisto di mobili - sarebbe stata non veritiera e quel denaro serviva invece per acquistare della quote della srl. In particolare i 10 mila euro avrebbero pagato il 30 per cento delle quote che erano in mano all’ex direttore della banca e che sarebbero passate al fidanzato della donna che aveva chiesto il prestito.

Una manovra, questa, che sarebbe stata “mascherata” con la motivazione che la necessità di contrarre un prestito nasceva dal fatto che lei aveva preso in affitto un nuovo appartamento e che questo doveva essere ammobiliato. Un punto questo, sul quale sono stati fatti anche degli accertamenti. E sarebbe emerso che la coppi aveva sì cambiato diversi appartamenti, ma che avevano sempre scelto delle case già allestite con tutti i mobili. C’è poi l’altra accusa rivolta all’ex dipendente, ossia quella di aver violato le norme antiriciclaggio visto che i 10 mila euro li avrebbe non sono intascati, ma anche lo avrebbe fatto in contanti. E questo non è permesso dalle norme antiriciclaggio. La corte d’appello di Trento, chiamata in causa dal licenziato dopo che il tribunale di primo grado gli aveva dato torto, aveva riscontrato «l’ esistenza di un conflitto di interessi del direttore della filiale, con la erogazione del prestito con finalità di propria utilità. Da aggiungersi a ciò anche la violazione delle norme antiriciclaggio per il pagamento avvenuto in contanti. La gravità dei comportamenti era ritenuta dalla corte territoriale lesiva del rapporto fiduciario e dunque giusta causa di licenziamento». Una tesi alla quale giunge anche la corte di cassazione che ha respinto il ricorso dell’ex dipendente. Che si “lamentava” del fatto che «la valutazione svolta dalla corte territoriale sia stata fondata su elementi meramente indiziari, o semplici presunzioni, prive di valore probatorio, in violazione dei principi in materia di onere probatorio». Tesi che non è stata accolta dalla cassazione che ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso dell’uomo.













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