«Avvocati si diventa con passione e sacrificio» 

Gli iscritti all’Ordine in calo. Teresa Gentilini, 33 anni, ha superato l’esame di Stato cinque anni fa. «Professione complessa, molta concorrenza e difficoltà, anche a farsi pagare»


valentina leone


Trento. «Io penso che non fai l’avvocato, ma lo sei. Questo lavoro lo puoi fare se ci credi, se sei molto motivato, perché è una professione affascinante ma anche molto complessa. Ci vuole impegno, sacrificio quotidiano e tanta passione, diversamente è facile pensare di mollare». L’avvocatessa Teresa Gentilini, 33 anni a maggio, è tra i giovani - pochi, dati alla mano - che hanno resistito. Laurea a Trento nel 2011, pratica nello studio Demattè - Tamion, dal gennaio del 2015 è iscritta all’albo, e si occupa di diritto penale e diritto penale d’impresa sempre nel medesimo studio. Ascoltando dei vari gradini che dovrebbero condurre all’iscrizione all’albo e all’avvio della carriera vera e propria, però, viene in mente una delle scalate di Messner su un Ottomila, più che un normale cammino di studio e formazione.

«Sicuramente il percorso formativo e professionale che ti porta ad accedere alla professione forense è molto lungo e faticoso, a partire dagli studi universitari: una laurea di cinque anni, con una preparazione molto teorica rispetto a quella che sarà poi la vita dello studio legale», spiega Gentilini. «Poi, dopo la laurea, c’è il periodo di tirocinio, che fino a qualche anno fa durava due anni e adesso è stato ridotto a 18 mesi: una fase molto complicata, in primis per l’aspetto economico, visto che spesso si arriva a lavorare anche dieci o dodici ore al giorno, partendo da zero, a fronte di una retribuzione che non va oltre un piccolo rimborso spese da circa 500 euro. Poi, contemporaneamente alla pratica, c’è anche la frequenza della scuola per le professioni legali, e quindi devi saper conciliare studio e lavoro senza alcuna gratificazione immediata e senza alcuna garanzia di raggiungere gli obiettivi».

Perché poi si arriva all’esame di Stato, ma anche lì, pur con tutti gli sforzi di cui sopra, non c’è garanzia di superarlo e la selezione è molto dura: «La concorrenza e la complessità del mercato, ma anche la forma che ha assunto l’attività negli ultimi anni, richiedono specializzazioni, mentre l’esame è ancora molto fermo alla figura dell’avvocato generico. Ci sono, ad esempio, tanti praticanti che lavorano in studi che si occupano di tutt’altro, magari di diritto bancario o societario, ma queste materie non sono neanche contemplate ai fini dell’abilitazione».

Una volta superato l’esame, si attende poi l’esito, e in Corti d’Appello molto affollate questo periodo può superare anche l’anno, «e oltretutto - spiega Gentilini - in quella fase non sei più né un praticante ma neppure avvocato, e se non collabori con uno studio non puoi lavorare in autonomia». Ammesso e non concesso che si superi l’esame al primo colpo, subentra poi un ulteriore tema, ossia quello di far quadrare i conti, fermo restando che appare comunque difficile arrivare fin qui senza una famiglia disposta, almeno nelle prime battute, a darti una mano: «Ci sono i costi di iscrizione all’albo, poi la cassa forense e un’assicurazione obbligatoria. Questo sempre che tu non debba pensare di metterti in proprio». Altro tasto dolente: trovare i clienti. «Nel nostro campo quando inizi devi fare i conti col fatto che sei l’ultimo arrivato e che dovrai vedertela con dei competitors che hanno dalla loro competenza e autorevolezza che si sono costruiti nel tempo. Questo può essere vissuto come paralizzante - spiega l’avvocatessa - ma a mio modo di vedere può essere sfruttato come uno stimolo a fare sempre meglio. Faccio un esempio: noi abbiamo iniziato nel pieno della crisi e possiamo fare tesoro di questo, perché abbiamo imparato a ottimizzare le risorse e a non sperperare quello che ci siamo guadagnati, con fatica e impegno».

Tanto per dare un’ulteriore idea di questa fatica, almeno sotto il profilo economico, in media un giovane avvocato stima di non guadagnare nulla nei primi due o tre anni. Se si è fortunati si va in pari con le spese. Poi, trovati i clienti, bisogna anche riuscire in un’altra impresa: farsi pagare. «Questo è un problema che io definirei quasi patologico, perché di base c’è che la popolazione non riesce a vedere il servizio prestato dall’avvocato come una vera e propria fornitura di un servizio. Se vai dal dentista metti in conto che devi pagare le cure, ma non è lo stesso se decidi di rivolgerti a noi». Infine, c’è anche un’altra “fatica”, che è quella - non secondaria - del dover maneggiare situazioni spesso delicate: «Si ha a che fare costantemente con i problemi delle persone, e bisogna anche imparare a convivere con il peso della responsabilità. Anche qui: motivazione, e passione».















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