Anche don Piero Rattin positivo, è ricoverato a Rovereto

Trento. Anche don Piero Rattin, a lungo parroco di Piedicastello, colto biblista e rettore del Santuario di Montagnaga di Piné, è risultato positivo al Coronavirus e dal suo letto, all’ospedale di...



Trento. Anche don Piero Rattin, a lungo parroco di Piedicastello, colto biblista e rettore del Santuario di Montagnaga di Piné, è risultato positivo al Coronavirus e dal suo letto, all’ospedale di Rovereto, ha scritto un editoriale per Vita Trentina dando merito a medici e infermieri che si occupano, oltre di lui, di molti altri malati, che non hanno nemmeno il conforto della vicinanzna dei propri cari. «Non auguro a nessuno un'esperienza così - scrive don Rattin -, ma devo dire che, nonostante la fatica della sopportazione e la titubanza dell'incerto, essa non mi ha lasciato senza emozioni. Mi riferisco, ad esempio, all'indefesso lavoro del personale sanitario. Sì, se ne parla ovunque con toni da encomio, che sono sinceri e credibili senza dubbio, ma anche un po’ generici. Valutare da qui è diverso. Ignoravo fino a che punto giungesse la dedizione del personale: operoso senza sosta, pur se oberato dalle esigenze di un’emergenza eccezionale, agisce nella lucida consapevolezza del limite da cui non si lascia deprimere, ma a cui cerca di compensare con gesti di servizio di squisita attenzione. Ne sono certo e lo dico con assoluta franchezza: anche le forme patologiche più disperate per gravità e per la costretta lacerante assenza all’ultimo capolinea di persone care, hanno avuto ed hanno calorosa e profonda vicinanza umana. Ammiro questo personale, paziente, dedicato, sempre incoraggiante. Lo ammiro pure per la costanza con cui ripete innumerevoli volte, prima e al termine d’ogni intervento di servizio, i gesti sempre uguali d’una meticolosa liturgia di tutela: di sé e di noi degenti. Nessuno dica “ È il loro mestiere, sono pagati apposta...” Questi tempi di emergenza non preventivati hanno fatto emergere non pochi atteggiamento contrastanti; ma tra tutti, i sintomi chiari e indubitabili di un’umanità che è comunque viva e capace deprimersi con solidale creatività. Mi chiedo solo: era necessario questo flagello per farcene accorgere? Da degente condivido, con chi crede e con chi non crede, lo sgomento di sentirmi giocato da una potenza avversa e incontrollabile, la sensazione - aggiunge - di una foglia secca alla mercé d’una tormenta che nessuno sa quando finirà».













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