Nell’antica casa di commercio la città mette in mostra se stessa 

Viaggio all’interno del rinato palazzo Sichardt. Tre piani che spaziano dalla bellezza, ai talenti fino alla ricerca facendone testimoni della storia roveretana. Inaugurato a fine giugno, in cinque mesi ha accolto 3 mila visitatori


PATRIZIA BELLI


Rovereto. Già il palazzo di suo è una gioia per i roveretani. La casa di commercio Sichart ai Calcinari (1738) restaurata e riconsegnata alla città, celebra una bellezza elegante e severa. Ospita il “Museo della città” e quel “della” è davvero un possessivo: un museo che appartiene ai suoi abitanti.

Inaugurato a fine giugno

Inaugurato a fine giugno dello scorso anno, in 5 mesi ha accolto 3 mila visitatori (dati di fine novembre). Il progetto espositivo iniziale è stato curato per il Comune da Francesca Bacci, professoressa in storia dell’arte e museografia all’Università di Tampa, ora la gestione è della direttrice del Civico Alessandra Cattoi, e il Museo della città si ritaglia il ruolo di seconda sede espositiva del Museo di Borgo Santa Caterina.

Nato per valorizzare il patrimonio artistico della città, il Museo solletica l’orgoglio roveretano ripercorrendo (almeno in parte) la storia della città, omaggiando il mecenatismo e il senso di appartenenza alla propria terra. Valore alla storia dunque con le dovute attenzioni alle esigenze attuali, ecco quindi in dotazione dei tablet che guidano alla visita e postazioni multimediali.

Per la fine di gennaio il Museo ospiterà la mostra “Ci vuole un fiore dalla natura alle arti” a cura di Paola Pizzamano, a compendio dell’esposizione di botanica in atto al Museo Civico e si annuncia come un viaggio suggestivo tra i disegni della Scuola Reale Elisabettina, le eleganti e armoniose composizioni floreali dipinte da Regina Philippona Disertori e donate alla città dal figlio l’architetto Andrea Disertori (l’artista scrisse: “È come se la terra, i monti, gli alberi, i fiori vivano, respirino, vorrei dire preghino, ed io mi sento come un'unità con essi”), la modernità dei fiori declinati da Arturo Belli o di quelli tratteggiati a mano libera di Tiella Garbari.

Il patrimonio

In attesa della inaugurazione della nuova mostra i roveretani potranno visitare il Museo per ammirare, oltre al palazzo, parte del patrimonio della città, composto da donazioni e in misura minore da acquisti. Un patrimonio di circa 3.500 pezzi, poco noto, che ora lentamente esce dai depositi (sono 200 i pezzi attualmente in mostra).

Il Museo della Città si presenta a piani, in uno spazio ridisegnato, che pur tenendo conto della struttura antica, sa parlare un linguaggio contemporaneo (la ristrutturazione del Palazzo da sola vale la visita).

In attesa del bar

Il piano terra è riservato all’accoglienza, uno spazio dove bere un caffè (è nei programmi l’apertura di un bar) ricaricare i cellulari, fermarsi a leggere… L’idea è di lasciarlo a disposizione gratuita delle associazioni che ne fanno richiesta; anche i privati possono accedervi con iniziative di carattere culturale.

Il primo piano è stato dedicato alla bellezza: la bellezza di Rovereto. Ad esempio i Lavini di Marco visti da Alcide Davide Campestrini che ne ha tratto una composizione dantesca intitolata “I lussuriosi”. O la collezione dei carabidi di grotta, (una sorta di coleotteri) scoperti da Livio Tamanini e Bernardino Halbherr. Curiosa la finestra che stando seduti e toccando alcune scritte riproduce i suoni di Rovereto: la Campana, il Coro di Sant’Ilario, la sirena d’allarme, i passi dei dinosauri…

I busti dei “Grandi”

Celebra il talento il secondo piano che si apre con una sorta di “piazza” con i busti dei Grandi e 41 ritratti opera di Diego Costa. Ognuno con una breve e molto personale descrizione. Di se stesso Costa scrive: “A Milano fui futurista e mantenni fede nella ricerca”, di Cainelli che morì ventenne: “Era una promessa”, di Dallabrida: “Sofferse umiliazioni fame e miseria perché dipingeva bene e all’avanguardia”, di Garbari: “Anche i più grandi artisti se soli non possono resistere”; di Giuseppina Bresadola (unica donna): “Era troppo umile per essere apprezzata e troppo sola per essere aggiornata”.

Tra slitte e portantine, spicca una bellissima scultura di Rolanda Polonski, una testa di donna (Sissi Marzani). Interessante anche il percorso creato attorno al professore di disegno della Scuole Reale Elisabettina Luigi Comel, esempio illuminante di come un insegnante possa stimolare i suoi allievi. Non fu certo un caso che alle lezioni di Comel si formano artisti come Fortunato Depero, Roberto Iras Baldessari, Tullio Garbari, Fausto Melotti, Oddone Tomasi, Luigi Bonazza, Luciano Baldessari, Giorgio Wenter Marini…

Domande senza risposta

Il Museo dialoga con i suoi ospiti e pone anche domande, ad esempio il ritratto esposto e eseguito da Mathias Gasser datato 1723 raffigura il giovane Mozart? Medesimo interrogativo su alcuni sigilli in ceralacca di cui non si conosce l’uso… Se qualcuno lo sa, arricchisce il corredo informativo del Museo. Infine il terzo piano, dedicato alla dedizione per ricercatori con microscopi, stampanti 3D, laboratori.

Il Museo della Città è un posto identitario, un racconto polifonico della storia di Rovereto. Il suo accesso è ancora gratuito un bonus che vuol essere un invito a roveretani e non a frequentarlo, a farlo proprio, a renderlo parte attiva della città. Gli orari sono: lunedì chiusura da martedì a giovedì dalle 14 alle 18, venerdì sabato e domenica dalle 10 alle 18.















Scuola & Ricerca

In primo piano