L'INTERVISTA ELIA SARTORI 

L’enfant prodige: a 27 anni insegna  all’Università 

Docente di microeconomia a Napoli. Liceo finito in soli 4 anni poi la laurea alla Bocconi e il master a Princeton, negli Stati Uniti «Ma preferisco lo stile di vita europeo. Il nostro welfare va difeso»


anna maria eccli


ROVERETO. Avere 27 anni, con alle spalle la formazione liceale raggiunta in 4 anni anziché 5, una laurea in Economia alla Bocconi a 22 anni, un master alla Princeton University, nel New Jersey, ed essere attualmente docente all’Università di Napoli, con allievi più “anziani”. E’ la storia ad acceleratore abbassato di Elia Sartori. Sportivo, amante di pallavolo, nuoto, tennis, della Juve. Si presenta con un paio di gigantesche cuffie on-ear al collo: sta ascoltando canzoni napoletane, “per entrare nello slang della nuova casa”.

Già al liceo aveva “dieci” in tutte le materie.

Piano, non in tutte, in matematica, latino, chimica In filosofia avevo solo 9.

Ah, beh, gravissimo!

L’interesse per la filosofia, però, l’ho recuperato dopo. E’ una disciplina che ti conduce a porre domande fondamentali, epistemologiche.

Decise lei di abbreviare il percorso liceale?

No, me lo consigliarono gli insegnanti. Ne fui felice: la curiosità per una nuova esperienza era grande. Dopo il diploma ho frequentato la triennale in finanza, poi la specialistica in Economia come scienza sociale. Lo stile statunitense sta diventando paradigmatico anche in Italia.

Cosa significa?

Avere un approccio più quantitativo, pubblicare su riviste buone, dare contributi teorici spiegando fenomeni economici attraverso modelli e lavorare con dati. E si aprirono le porte per la Princeton University. Già, anche se non amo volare.

Come furono gli anni americani?

Di vita “divisa”. Proprio perché non amo l’aereo non tornavo spesso.

Ora ha deciso di fermarsi, però.

Preferisco lo stile di vita europeo, è meno totalizzante, la vita sociale è migliore. In America c’è molto individualismo, che porta spesso a depressione, a difficoltà psicologiche. Nel campo della ricerca, poi, può succedere che lavori per mesi per nulla. Lo stress è molto alto. Io lo combattevo con la lettura. Dostoevski, Gogol… Amo il grottesco degli autori russi.

Tornato in Europa poteva scegliere la cattedra anche altrove, perché Napoli?

Perché è una bellissima città, c’è un ottimo dipartimento, gestito bene e con persone straordinarie.

Cosa fa, esattamente?

Insegno microeconomia a pochi studenti, selezionati, destinati al dottorato di ricerca, ma solo per poche ore; principalmente svolgerò attività di ricerca, cercando di pubblicare i miei articoli.

Si divertirà, anche…

Certo; gioco a bridge e a scacchi, mi piace stare in cucina. In America preparavo pizza, gnocchi, polenta… Le ultime vacanze le ho trascorse nel Maine a mangiare aragoste. Ah, poi sono un tifoso juventino. A Napoli lo dovrò nascondere…

L’approccio positivista determinista delle scienze sociali non fa perdere fiducia nel possibile cambiamento, verso una società più giusta?

Ci si fa questa domanda… però l’economia è una scienza descrittiva, si basa su modelli che permettono anche la previsione. Si studia un problema, per esempio la ripartizione del redito, senza connotati etici. E’compito della politica fare una sintesi delle preferenze sociali. Al tecnico può venir chiesto il modo migliore per raggiungere un obiettivo, senza entrare nel merito.

Ne deduciamo i politici incompetenti, o conniventi, abbondano.

Il sistema economico attuale è talmente complesso, interconnesso, che è sempre più difficile fare previsioni. Purtroppo, però, in Italia si usa solo il termine “politica”, senza la distinzione tra “politics”, cioè il dibattito su quanto si vuole perseguire, e “policy”, che corrisponde alla tecnica più efficace per realizzare gli obiettivi. Vivere in Italia, comunque, è da privilegiati.

In che senso? C’è chi fatica ad arrivare a fine mese.

Immagino. Ma spesso non si capisce, per esempio, che quando mandi tuo figlio a scuola stai ricevendo ricchezza. In America io, che sono figlio di gente normale (il padre negoziante, la madre segretaria, ndr.), non avrei mai potuto permettermi il livello di istruzione che ho ricevuto qua. Mi sento molto in debito nei confronti del sistema che mi ha cresciuto. Così per la sanità, qui ti farai le file prima di accedere ai servizi, ma sai che c’è qualcuno che paga

Insomma, sta salvando il welfare state italiano.

Sì. Bisogna essere solo più consapevoli che le risorse sono limitate. È vero che nel sistema pubblico, per sua natura, ci sono più sprechi, ma c’è un obiettivo orientato all’interesse sociale. Una delle motivazioni principali per fare ricerca nel mio ambito è creare le situazioni per cui soggetti naturalmente individualisti possano generare soluzioni socialmente auspicabili. Insomma, dare concretezza alla mano invisibile teorizzata da Adam Smith.

Come è entrato a Princeton, nell’università che fu di Einstein, Gödel e von Neumann?

Ai dottorati-top statunitensi si entra prevalentemente con la lettera di presentazione firmata da professori rinomati merito quindi dei miei advisor in Bocconi che hanno creduto in me.

Si sentiva al settimo cielo?

No, ti senti come uno che passa dal primeggiare allo stare con chi è più bravo. La mia classe era di poco più di 20 persone, provenienti da tutto il mondo, e tutti bravissimi. Sbatti contro i tuoi limiti. E questo è fondamentale per un ricercatore.

In che senso?

Il tratto, se vogliamo ingenuo, del “non capire” diventa attitudine a non dare niente per scontato, a sviluppare un approccio critico a chiedersi sempre perché una cosa sia vera. Vivi in un continuo dubitativo, con la certezza che ci sia sempre qualcuno più bravo. Ecco, stare di fronte alla propria limitatezza fa di te un ricercatore. Gli economisti che parlano in tivù sono sempre molto sicuri di sé… E questo mi fa arrabbiare

Il segreto per il successo?

E’ l’autodisciplina. Fin dalle elementari io sono stato abituato a fare i compiti. Questo ti aiuta perché nella vita arriva il momento in cui nessuno ti controlla più. Ringrazierò sempre i miei genitori e maestri per avermi passato il senso del dovere.

Una sbornia sonora?

L’ultima la notte dell’elezione di Trump: era tutto così surreale che non ti rendevi conto di quanto bevevi. Mi sono svegliato il giorno dopo, confuso.













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