Caso Sicor: i 170 lavoratori votano se resistere o cedere 

La vertenza. Oggi e domani il referendum sulla apertura di una trattativa sugli accordi  aziendali che l’azienda ha disdettato a metà luglio. Considerati fino ad oggi non negoziabili


Luca Marsilli


Rovereto. Oggi e domani i lavoratori della Sicor sono chiamati ad un voto che per mille ragioni sarà uno spartiacque. Non solo per il loro futuro ma per quello delle relazioni industriali in Trentino. Con un sì o con un no dovranno dare o meno mandato alle loro rappresentanze sindacali di aprire una trattativa sui patti aziendali: quei patti che unilateralmente l’azienda ha comunicato di ritenere non più validi alla metà di luglio, aprendo una vertenza durissima che va avanti da allora. Allora l’assemblea dei lavoratori aveva dato al sindacato (la Fiom (Cgil), all’epoca unica forza confederale in azienda) il mandato di non accettare il dato di fatto: i diritti acquisiti non si toccano. Forti della consapevolezza che anche a livello giurisprudenziale, è ritenuto impresentabile il taglio di retribuzione di un lavoratore contro la sua volontà.

Da allora è cambiato molto, ma non la sostanza delle cose. Al tavolo si è aggiunta la Provincia, che preme per una soluzione della vertenza ma mantiene una posizione terza: l’obiettivo che persegue sembra essere la chiusura della crisi. Chiedendo uno sforzo sia all’azienda che ai lavoratori. Nella nuova Rsu è entrata anche la Fim (Cisl) che da subito ha avuto una posizione molto meno intransigente sulla possibilità di rivedere al ribasso gli accordi aziendali. E quindi sui lavoratori Sicor pesano ora per intero scelte che possono essere pesanti sia per loro che per l’intera categoria, perché anche se Confindustria e Provincia assicurano che l’iniziativa di Sicor è del tutto avulsa dal nostro contesto produttivo e quindi rimarrà isolata, riesce difficile immaginare che se passa il principio che si possono aumentare i profitti aziendali tagliando gli stipendi non ci sia qualcun altro che ci possa pensare. Un sindacato diviso e una politica “non schierata” mettono i lavoratori nella condizione peggiore. Perché la reponsabilità di difendere un diritto che fino a oggi è sembrato sacrosanto finisce sulle spalle di chi rischia di pagare sulla propria pelle le conseguenze di una battaglia che andrebbe combattuta in tutt’altre sedi. In altre parole, non si può chiedere di difendere un principio a chi sull’altro piatto della bilancia mette le rate del proprio mutuo e la sicurezza del proprio posto di lavoro.

Negli “appelli al voto” Fiom e Fim si sono rivolti agli operai chiedendo due cose opposte: la Fiom un “no” che lasci intatta la forza del sindacato al tavolo di una trattativa che andrà comunque portata avanti. La Fim un “sì” che permetta di uscire dal muro contro muro, con una apertura che consenta di chiedere alla azienda altrettanta ragionevolezza.













Scuola & Ricerca

In primo piano