LA STORIA

Hakan Sukur autista Uber in esilio: "Non ho più nulla, Erdogan mi ha preso tutto"

In un'intervista a Welt am Sonntag, l'ex calciatore di Torino, Inter e Parma, accusa il governo turco di perseguitarlo



NEW YORK. Da stella del calcio turco ad autista Uber. È la parabola di Hakan Sukur, 48enne ex attaccante di Torino, Inter e Parma, costretto a vivere da esule negli Stati Uniti.

In un’intervista a "Welt am Sonntag", l’ex calciatore racconta la strana piega che ha preso la sua vita e accusa il governo turco guidato da Erdogan di perseguitarlo. Appese le scarpette al chiodo col Galatasaray nel 2008, tre anni dopo Sukur era entrato a far parte dell’Akp, il partito che vede Erdogan fra i cofondatori.

Nel 2013, però, ha deciso di uscirne dopo uno scandalo corruzione e ha finito col pagare le conseguenze della rottura fra Erdogan e Fethullah Gulen, il predicatore che vive negli Stati Uniti e accusato dal governo turco di terrorismo. Nel mirino della giustizia per alcune frasi su Erdogan e il figlio Bilal, Sukur ha sul suo capo, dal 2016, un mandato d’arresto perché sostenitore di Gulen e i suoi beni sono stati congelati. Un anno prima l’ex giocatore, autore nel 2002 del gol più veloce nella storia dei Mondiali (in rete dopo 11 secondi contro la Corea del Sud nella finale per il terzo posto), è emigrato negli Usa. «Il negozio di mia moglie era stato preso a colpi di pietre, i miei figli sono stati aggrediti per strada, io venivo minacciato per ogni affermazione che facevo«, si sfoga. 

Nel 2015 Hakan Sukur ha provato a rifarsi una vita aprendo un locale in California «ma veniva strana gente a suonare la dombra«, strumento a cui spesso l’Akp fa riferimento come simbolo della vera musica turca. Intimidazioni, insomma, che hanno spinto l’ex giocatore a trasferirsi a Washington dove ora fa l’autista Uber.

«Non ho più nulla, Erdogan mi ha preso tutto. Quando sono andato via dalla Turchia hanno arrestato mio padre e mi hanno confiscato tutto quello che avevo. Mi hanno portato via anche la libertà, il diritto alla parola, anche il diritto al lavoro«.













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