Ex Argentina: «Agli occhi non c’è prescrizione» 

Il caso. Chiusa la pagina giudiziaria, gli ambientalisti tornano alla carica sull’edificazione «Ci si è concentrati sui volumi in eccesso, non su come si sia arrivati fino a quel punto»


Gianluce Ricci


Arco. Accertate le responsabilità penali sull’intervento edilizio all’ex Argentina, è giunto il momento di individuare quelle politiche, sulle quali nessun giudice ha giurisdizione, ma solo i cittadini: così perlomeno la pensano gli ambientalisti che si raccolgono nel Comitato di Salvaguardia dell’Olivaia e che nei giorni scorsi hanno voluto esplicitare la loro posizione.

«Non sono tutti assolti – ha scritto Gilberto Galvagni a nome di tutti gli attivisti – non sono tutti innocenti: la sentenza d’appello ha stabilito semplicemente che è intervenuta la prescrizione. Non è stata una sentenza di assoluzione, perché i CTU dei due gradi di giudizio hanno evidenziato che è stata realizzata indubitabilmente una cubatura in eccesso: il perito del Tribunale ha affermato come l'amministrazione comunale abbia autorizzato fin dall’adozione del Piano di Recupero un intervento che si presentava irrealizzabile per il 25% con destinazione alberghiera, quella d’interesse pubblico, tant’è che l’edificio del Calvario non si è realizzato».

A detta degli ambientalisti la sentenza di primo grado si sarebbe concentrata solo sulla sforatura della cubatura, sottovalutando gli altri capi di imputazione, soprattutto il recupero filologico dell’ex sanatorio, aspetto che probabilmente per questo è stato escluso dal secondo grado di giudizio. Alla fine, poiché la cubatura illecita riguardava l’autorimessa, l’accusa di lottizzazione abusiva è stata derubricata ad abuso edilizio, con dirette conseguenze sulla sentenza. «Purtroppo – ha aggiunto Galvagni – nel giudizio si è arrivati a parlare di metri cubi, ma non si è risposto alla domanda: come è potuta venir su una roba del genere?». A seguire una lunga disamina delle responsabilità delle varie giunte susseguitesi nella gestione della vicenda, da quella Mantovani («che ha portato la ditta costruttrice in tribunale») a quelle Veronesi («che non hanno mai opposto non diciamo un rifiuto, ma nemmeno una forma di resistenza»), fino a quelle Mattei e Betta, («che non hanno chiesto il ristoro dei danni per il Comune e per i suoi cittadini»).

«Ora resta il tribunale degli occhi delle persone – ha concluso Galvagni – dei loro cuori. Visto che la prescrizione si porta via soltanto la punibilità, resta il giudizio che ciascuno di noi può dare su quanto è stato realizzato: un bene per Arco o un vergognoso capitolo di pessima amministrazione, che non ha fatto rispettare il piano di recupero? Per il tribunale degli occhi e del cuore prescrizione non c'è e i 25mila euro di risarcimento per il danno paesaggistico sono solo una goccia nel mare».

Ma la pratica non si chiude qui. L’area andrà infatti ridisciplinata, «riattivando – ha precisato l’assessore all’urbanistica Stefano Miori – un piano attuativo che è scaduto e ridefinendo le opere di urbanizzazione previste, senza dimenticare che sarebbe pure possibile portare a valle le cubature non realizzate». Il riferimento è ai volumi alberghieri residui del Calvario, non ancora interessati dall’intervento, su cui si potrebbe riaprire un confronto. Ovviamente quando le circostanze lo consentiranno.













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