TESTIMONI / 7

Florenskij, la "resistenza" dentro il gulag

Matematico, fisico, ingegnere elettrotecnico, teologo, filosofo, sacerdote della Chiesa ortodossa, sposato, cinque figli: il regime comunista lo usa come scienziato e lui non smette di mettere l'abito talare. E viene condannato a morte e fucilato


Vincenzo Passerini


La vita vola via come un sogno, e non si fa in tempo a far niente in quell’attimo che è la vita. Perciò bisogna apprendere l’arte del vivere, la più difficile delle arti: quella di riempire ogni ora di un contenuto sostanziale, pensando che quell’ora non tornerà mai più.” Così scrive Pavel A. Florenskij dall’infernale gulag staliniano delle Solovki in una delle meravigliose lettere alla famiglia (Non dimenticatemi, a cura di N. Valentini e L. Žák, Mondadori, 2000).

Matematico, fisico, ingegnere elettrotecnico, teologo, filosofo, sacerdote della Chiesa ortodossa, sposato con Anna M. Giacintova, cinque figli, Florenskij è una delle grandi menti e dei grandi spiriti del Novecento. Nato nel 1882 ad Evlach, in Azerbaigian, vive a Mosca.

Il regime comunista, pur ricorrendo a minacce ed arresti, non rinuncia per anni ad avvalersi di questo scienziato che ha scelto di non andare in esilio e che si ostina a presentarsi in ogni sede con la veste talare. E che in un quaderno degli anni ’20 aveva scritto: “Non tradire mai le tue più profonde convinzioni interiori per nessuna ragione al mondo. Ricorda che ogni compromesso porta a un nuovo compromesso, e così all’infinito”.

Le persecuzioni crescono e nel 1933 Florenskij è deportato e l’anno dopo finisce nel gulag delle isole Solovki, nel Mar Baltico. Le condizioni di vita sono spaventose. Tra fucilati e massacrati dal lavoro disumano, alla fine saranno un milione i morti. Florenskij deve lavorare in un laboratorio biochimico, e anche per lui la vita è durissima. Gli consentono di scrivere due lettere al mese, senza la parola “Dio”. E lui non rinuncia un solo istante alla responsabilità educativa verso i figli. Ad Annulja: “Ognuno ha la propria disgrazia e la propria croce. Non mormorare pertanto contro la tua. Negli ultimi tempi ho visto tante di quelle disgrazie, di tutti i tipi e dovute a ogni genere di cause, che di fronte ad esse la mia disgrazia sembrava svanire.” E ancora: “In me vive la ferma convinzione che al mondo niente si perde, né del bene, né del male, e prima o poi si manifesta apertamente”.

Aveva già redatto il testamento nel 1917: “Cari figlioletti miei, non permettete a voi stessi di pensare in maniera grossolana. Il pensiero è un dono di Dio ed esige che si abbia cura di sé”; “La cosa più importante che vi chiedo è di ricordarvi del Signore, e di vivere al suo cospetto”; “Non dimenticate la vostra stirpe, il vostro passato”. È condannato a morte e fucilato l’8 dicembre 1937. Le sue opere continuano a stupire per grandezza spirituale e di pensiero.













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