IL RICORDO

Carlo Spagnolli non va tradito

Il suo amore per l'Africa, la sua generosità, la sua contemplazione, il suo dinamismo. Che l’abbraccio dei trentini sia sincero. Che questa terra che Carlo ha tanto amato rifletta seriamente su dove sta andando


Vincenzo Passerini


Gli occhi all’insù nella notte e lui che ci indica le stelle e le costellazioni. Questo è il mio più bel ricordo di Carlo Spagnolli, medico missionario, cui oggi Rovereto e il Trentino danno l’ultimo saluto. Carlo che in Zimbabwe ci descrive la volta celeste, la meravigliosa volta celeste africana. Ti appare così vicina che ti avvolge. E ti immergi stupefatto nel suo mistero. Carlo, uomo di scienza e di medicina, amava l’astronomia. 

E amava il mistero, quello scritto con la maiuscola, quello che osa chiamarsi Dio. Quello che ha preso corpo duemila anni fa con Gesù Cristo. Mistero inafferrabile e pur così concreto. Concreto, sconvolgente, da cambiarti la vita. Carlo si era lasciato sconvolgere la vita da questo mistero di amore. Era un uomo di fede profonda. Solida e inquieta, forte e perennemente in ricerca. E questa fede gli faceva amare tutto della vita. Era totalmente innamorato del mondo e della vita. Conosceva i nomi delle stelle, ma anche dei fiori e delle piante. Conosceva i nomi degli animali. Quando poteva andava ad esplorare le grotte. Era appassionato di speleologia. E quando tornava in Trentino andava a scalare sulle Dolomiti. La storia dell’Africa, poi, la conosceva a fondo. Ne seguiva con attenzione le vicende politiche. E poi le religioni, le culture, l’antropologia. Non si può amare l’Africa se non la si conosce. Che lezione. C’è gente che parla dell’Africa e la giudica e non ne sa nulla, o c’è stata qualche volta. Carlo conosceva anche la storia del cristianesimo, delle chiese e dei movimenti religiosi perseguitati per eresia. Come quello dei Catari, che molto lo appassionava. Seguiva con interesse le avanguardie teologiche del nostro tempo. Era un uomo formato nello spirito del Concilio Vaticano II e alla scuola spirituale dei gesuiti che avevano lasciato le stanze del potere per convertirsi alla causa dei poveri. Amava papa Francesco e soffriva della guerra che gli facevano. Conta il Vangelo, ripeteva Carlo con papa Francesco. Conta il Vangelo. 

Leggeva e si informava in continuazione. Il duro lavoro di medico e di chirurgo e gli innumerevoli impegni organizzativi non gli impedivano di leggere la notte. La vita era troppo bella per non conoscerla e scoprirla sempre di più. Era innamorato del mondo e della vita. Al punto da dedicare la sua vita alla salvezza di quella degli altri. A guarire e a salvare la meravigliosa vita che c’è in ogni essere umano. Specialmente la vita dei sofferenti e dei poveri, degli umiliati e degli offesi. Quelli che la vita l’hanno appesa a fragili fili e rischiano in ogni momento di perderla. E la perdono troppo facilmente nei paesi impoveriti per colpa della politica ingiusta e dell’economia ingiusta. Dio solo sa quante vite umane ha salvato Carlo Spagnolli. Specialmente vite di donne, di madri, di bambini. Quante vite salvate. Ci saranno idealmente anche loro oggi a dargli l’ultimo saluto nella chiesa di Santa Maria a Rovereto. Danzeranno e canteranno, con quella gioia che noi abbiamo perduto e che l’Africa conserva, come una riserva di vita per l’umanità intera. Che la morte non abbia l’ultima parola. 

Con i volontari dell’associazione il Melograno di Brentonico (tra cui Luca Zeni e Elio Girardelli, amici di Carlo fin dai suoi anni in Etiopia, e Luigi Passerini) sono stato più volte in Zimbabwe tra il 2000 e il 2007 per alcuni progetti di aiuto e ho potuto vedere da vicino l’enorme lavoro di Carlo per salvare vite umane, specialmente dall’Aids. I primi anni duemila furono terribili. Alla periferia della capitale Harare, l’immenso campo-cimitero era continuamente scavato dalle ruspe per seppellire le innumerevoli vittime della malattia. Carlo si è prodigato oltre ogni umana possibilità, si è consumato per promuovere e organizzare prevenzione, cura, assistenza. Quanti viaggi, quanti incontri, quante visite mediche. E quanta speranza ha diffuso intorno a sé. Quante persone ha preparato e motivato. Quanti malati poveri ha assistito. Ha trovato per fortuna tanto aiuto, non solo in Trentino dove la lunga lista delle organizzazioni che lo hanno sostenuto è aperta dalla associazione Spagnolli Bazzoni e da Lifeline Dolomites, della Val di Fassa, guidata da Claudio Merighi. Il Trentino solidale ha tanto aiutato Carlo. Anche la Provincia autonoma. Un Trentino e una Provincia felici di salvare tante vite umane. Un Trentino e una Provincia che ora però stanno tradendo l’Africa, Carlo Spagnolli e gli altri grandi e piccoli testimoni della meravigliosa storia di fraternità dei trentini con l’Africa. La Provincia del potere leghista e dei suoi alleati ha tolto il pane di bocca ai progetti di aiuto all’Africa. Sta distruggendo la cooperazione internazionale. Si rifiuta di salvare vite umane, e se ne vanta. Ha distrutto tanti progetti di accoglienza per i profughi, tra cui numerosi africani, che funzionavano bene. Che vergogna questo accanimento contro i più deboli. Che vergogna. All’indomani dell’attentato intimidatorio che il 28 ottobre 2016 colpì la pensione Ombretta a Soraga, in Val di Fassa, che s’apprestava ad accogliere un gruppo di profughi, Carlo Spagnolli, che tanto amava la valle, che altrettanto lo amava, amareggiato dichiarò: “I selvaggi siamo noi che non siamo neanche capaci di accogliere chi fugge da guerre e povertà. Il fenomeno del rigetto non deve appartenerci, non è di casa nostra. Non è questo il Trentino”. Ma una grave malattia, peggiore dell’Aids, stava aggredendo il Trentino. La malattia dell’egoismo, del razzismo, dell’odio per lo straniero (quello povero, s’intende, perché lo straniero ricco è cercato e coccolato). Gli attentati di Soraga, di Lavarone, di Roncone, di San Lorenzo in Banale contro i profughi non erano passeggeri colpi di tosse. 

Carlo aveva sposato l’Africa, dando un seguito del tutto speciale agli stimoli del padre, il senatore Giovanni. Poi sposò Angelina, una grande donna africana. Ha amato ambedue immensamente e troppo presto gli sono venute a mancare. Proprio nel febbraio di dieci anni fa Angelina aveva ricevuto l’ultimo saluto nella stessa chiesa roveretana di Santa Maria dove oggi saranno tantissimi a dare l’addio a Carlo. Ci saranno i loro figli, Francesco, Giovanni ed Elisa. E i fratelli di Carlo, Paolo e Giovanna. Che l’abbraccio dei trentini sia sincero. Che questa terra che Carlo ha tanto amato rifletta seriamente su dove sta andando. Guarisca dalla sua mortale malattia. Ritrovi se stessa. Torni non solo ad aiutare, ma a rispettare, onorare, amare i più poveri e i più deboli. Carlo Spagnolli non va tradito.













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