Brexit, è il caos: rinviato il voto sull’intesa 

May, travolta da urla e risate ai Comuni, tenta di tornare a Bruxelles. Corbyn: «Il governo non c’è più»


di Alessandro Logroscino


LONDRA. Contrordine: il D-Day sulla Brexit è rinviato a data da destinarsi. Sull'orlo del baratro di una sconfitta parlamentare devastante, Theresa May innesta la marcia indietro sul voto di ratifica previsto per oggi del suo accordo di divorzio dall'Ue, ne annuncia lo slittamento, e si aggrappa alla speranza di un estremo supplemento negoziale con Bruxelles per provare a spuntare almeno un aggiustamento sul capitolo più spinoso: quello del cosiddetto backstop. L'inversione a U non pone in discussione il suo impegno a portare il Regno fuori dal club europeo «il 29 marzo 2019». Ma neppure le offre alcuna garanzia di rimettere insieme un consenso sufficiente a Westminster: tanto più che dalla capitale belga si ammonisce, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, che l'intesa sul tavolo non è in sostanza rinegoziabile. E tuttavia si tratta se non altro di una mossa che offre a May un po’ di ossigeno. Il colpo a sorpresa è arrivato a fine mattinata con la convocazione in conference call di un consiglio dei ministri straordinario da cui viene fatto trapelare la decisione di posticipare il voto. Decisione poi confermata dalla premier ai Comuni. La May vuole ottenere da Bruxelles «ulteriori rassicurazioni» sul backstop, il meccanismo vincolante di salvaguardia del confine aperto fra Irlanda e Irlanda del Nord imposto dall'Ue che molti deputati contrari all'accordo considerano cruciale per il loro dissenso. Theresa May ha ammesso che allo stato il testo sarebbe stato «respinto con ampio margine», ma ha puntualizzato di ritenere che l'accordo da lei raggiunto con i 27 resta nel complesso «il migliore possibile» in quanto garantisce «un'uscita negoziata» dall'Ue e assicura il rispetto della volontà popolare espressa nel 2016: allontanando la prospettiva di un referendum bis che la signora primo ministro continua a rigettare come miccia di nuove inevitabili divisioni nel Paese, malgrado la Corte di giustizia dell'Ue abbia certificato che il Regno, qualora lo volesse, sarebbe libero di revocare in modo unilaterale la Brexit. Parole accolte dalle reazioni sarcastiche, quando non furiose di buona parte della Camera, fra interruzioni, risate e inviti alle «dimissioni» dai banchi del Labour. Il leader dell'opposizione laburista, Jeremy Corbyn, pur rimandando per ora la carta incerta di una possibile mozione di sfiducia immediata, le ha da parte sua liquidate come un modo per prendere tempo, denunciando «una situazione estremamente grave e senza precedenti» per il Regno, in mano ormai a «un governo non più funzionante». Mentre toni polemici non sono mancati pure dai settori più critici della maggioranza, rinfocolati dallo sdegno di molti per un rinvio deciso dall'esecutivo unilateralmente.













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