Aziende globali, l’incertezza pesa su 6000 dipendenti 

Gli scenari economici. In Trentino sono tanti i lavoratori che dipendono da multinazionali che decidono il futuro lontano da qui. Brexit e frenata della Germania i campanelli d’allarme


Luca Petermaier


Trento. La notizia di ieri è che le stime di crescita della Germania per il 2019 sono in ulteriore calo: dall’1,8% siamo passati all’1% e poi allo 0,5%. Non lontano dalle previsioni italiane. Per il Trentino questa non è una notizia confortante visto che - in larga parte - i riflessi dell’economia tedesca si fanno sentire anche sull’industria manifatturiera trentina, soprattutto nel settore dell’«automotive». Ci sono poi le incertezze legate alla Brexit e quelle frutto della battaglia dei dazi tra Usa, Cina ed Europa. Più in generale, la stagnazione dei mercati europei rischia di pesare sui profitti delle grandi multinazionali che - come è noto - spesso decidono i destini dei propri stabilimenti in Europa o in Italia dentro stanze dei bottoni che si trovano dall’altra parte del mondo. È già successo recentemente (vedi il caso Whirlpool) e potrebbe concretamente tornare a succedere (caso Sandoz), ma è di ieri la notizia dello sciopero dei 1800 dipendenti della Mercatone Uno (in 30 lavorano a San Michele), anche loro dipendenti di una multinazionale che ha chiesto l’ammissione al concordato preventivo oppure della crisi che sta colpendo la Sirti che vuole cancellare 833 posti di lavoro in tutta Italia, una quindicina a Trento.

Il tema è noto: le multinazionali creano enormi opportunità di lavoro nei territori dove si insediano, ma possono anche lasciare il deserto quando decidono di andarsene, con il rischio di coinvolgere anche le aziende locali dell’indotto.

Nei tre settori del manifatturiero presenti in Trentino sono circa 6000 i lavoratori che dipendono direttamente da aziende multinazionali, quelle a maggiore rischio delocalizzazione.

Le Cartiere

Per quanto riguarda il settore della carta sono 470 i dipendenti della Cartiera del Garda (gruppo Lecta). Ci sono poi gli stabilimenti ex Fedrigoni, acquistati dal fondo Bain Capital che impiegano complessivamente circa 540 dipendenti. Sempre lo stesso fondo è proprietario della Cartiera di Scurelle (45 persone), mente la Cartiera di Condino (130 lavoratori) appartiene al Gruppo Sappi.

Settore chimico

Tra i chimici la parte del leone la fa Aquafil che nei tre stabilimenti trentini occupa circa 900 dipendenti. Ci sono poi Luxottica (600 dipendenti) la Zobele (200), la Sandoz (gruppo Novartis) con 140 lavoratori; la neozelandese Tumedei di Ala (60 dipendenti); la Saint Gobain a Lavis con 150 dipendenti e, sempre a Lavis, la tedesca Röchling con 70 lavoratori.

Settore metalmeccanico

È forse quello più numeroso sotto il profilo dei lavoratori dipendenti dalle multinazionali. La sola americana Dana conta 700 dipendenti, la Zf di Arco poco meno di un centinaio, la Male supera i 200, la Siemens arriva anche lei a 200, la Edison altri 150, l’Ebara di Cles oltre i 200.

Questi numeri comprendono solo le aziende più importanti e non tengono conto, naturalmente, delle tante aziende dell’indotto. «Ormai da molti anni - spiega Manuela Terragnolo della Cgil - le decisioni che riguardano le multinazionali vengono prese sopra le teste dei lavoratori senza alcuna possibilità di interazione, nemmeno con i dirigenti che stanno qui sul territorio. Il manifatturiero sta andando bene, ma all’orizzonte si intravedono fattori economici e politici che gettano un po’ di inquietudine sul futuro, soprattutto perché il settore dell’automotive è quello che da sempre guida l’economia, nel bene e nel male: quando c’è la ripresa parte per primo e quanto c’è la crisi si rallentano per primi».

È più pessimista Mario Cerutti, sempre della Cgil: «La riduzione degli investimenti in Trentino è costante da anni. I baricentri produttivi si stanno spostando altrove. Le multinazionali, ormai, fanno più finanza che industria».













Scuola & Ricerca

In primo piano