LA STORIA»IL CAPOLAVORO DI DOMENICO CHIOCCHETTI

di Giorgio Jellici All’alba del 14 ottobre 1939 un sommergibile tedesco superò gli sbarramenti che avrebbero dovuto proteggere la baia di Scapa Flow (120 miglia quadrate al centro delle isole Orcadi,...


di Giorgio Jellici


di Giorgio Jellici

All’alba del 14 ottobre 1939 un sommergibile tedesco superò gli sbarramenti che avrebbero dovuto proteggere la baia di Scapa Flow (120 miglia quadrate al centro delle isole Orcadi, Scozia, mare del Nord), base della flotta della Royal Navy, lanciò cinque siluri contro l’ammiraglia e la Royal Oak affondò nel giro di pochi minuti insieme a ottocento marinai dell’equipaggio. Fu una delle maggiori tragedie nella storia della marina britannica. Quest’ azione “straordinaria e coraggiosa”, come la definì Winston Churchill, promosse un’altra impresa prodigiosa: fra il 1940 e il 1944 gli inglesi, calando in mare migliaia di blocchi di roccia e di cemento, eressero alle Orcadi quattro gigantesche barriere che bloccarono l’accesso ai sommergibili nemici. E questa divenne la più spettacolare impresa d’ingegneria civile della seconda guerra mondiale. Ma chi la realizzò? Furono millecinquecento soldati italiani, catturati nel Nord Africa dalle truppe del gen. Montgomery e portati alle Orcadi proprio per costruire le barriere. Ed ecco il terzo fatto eccezionale di questa eccezionale trilogia: fra i prigionieri italiani c’era un giovane di Moena, Domenico Chiocchetti, trentenne (padre dell’attuale direttore dell’Istitut Cultural Ladin di Vigo di Fassa), il quale, durante gli anni di prigionia alle Orcadi concepì e costruì insieme ad alcuni compagni, una cappella che continua ad essere oggetto di ammirazione, di meraviglia e meta di pellegrinaggio da tutto il mondo. Chi sosta davanti al capolavoro di Chiocchetti sull’isola di Lamb Holm si chiede stupito, o stupita: ma come riuscirono a tanto i prigionieri italiani? La risposta la troviamo nell’affascinante libro di Philp Paris “La chiesetta della pace” (Curcu & Genovese, p. 255, € 18). Importante è il resoconto sulla nascita della cappella, scritto nel 1945 per il giornale dei prigionieri dal cappellano militare, padre Giacobazzi: «Tutto ciò è opera di Chiocchetti, un artista di enorme talento, conosciuto già per i suoi molto apprezzati lavori artistici sia dentro che fuori al Campo; in particolare il suo presepe natalizio …egli, oltre che ad occuparsi personalmente della parte pittorica e decorativa, ha fatto anche tutti i disegni, i piani e i progetti per la costruzione dell’altare, della balaustra, della pavimentazione, del tabernacolo, dei candelieri, delle lampade, delle finestre e dei vetri colorati, oltre a tutti i dettagli delle parti ornamentali in legno». In un’ intervista del dopoguerra Chiocchetti disse: «Avevo l’idea della chiesa perché avevamo bisogno di soddisfare il nostro bisogno di religione …e di pregare per la fine della guerra». Con il permesso del comandante del campo egli radunò una squadra di artigiani, scelti fra i compagni di prigionia: falegnami, fabbri, muratori, elettricisti. Due baracche Nissen di lamiera ondulata, dal tetto semicircolare (sempre presenti nei campi militari alleati) accostate, formarono l’ edificio della cappella. Per il resto egli impiegò materiale recuperato da navi rottamate: le piastrelle dei bagni d’un incrociatore tedesco per il pavimento, barre di ferro trovate nei rifiuti per la cancellata – una delle meraviglie della cappella –, per i candelabri in ottone, la lamiera delle scalinate d’un piroscafo, per i lampadari, barattoli della carne in scatola e così via. Cioè Chiocchetti, proprio come gli artisti del movimento “object trouvé”, da Duchamp a Tinguely, creò il suo capolavoro valorizzando “materiali senza valore”. Centro pittorico e spirituale della cappella è la Madonna con Bambino, che Chiocchetti ritrasse dal santino ricevuto dalla madre, portato con sé durante tutta la guerra. Poi egli vi aggiunse i cherubini che circondano la Madonna. Uno di loro tiene in mano lo stemma araldico di Moena. E non ci vuole molta fantasia per capire che quando Chiocchetti lo dipinse - con colori e pennelli regalatigli da un artista locale (così almeno si racconta) - egli volle lanciare un ponte di fratellanza tra l’isola nel mare del Nord, dove l’aveva sbattuto la guerra, e il villaggio dolomitico dov’ era nato. Simbolo di pace è la colomba al centro del soffitto della cappella, proprio come quella nella chiesa parrocchiale di Moena. A guerra finita Chiocchetti tornò sano e salvo al paese. In una lettera agli “amici delle Orcadi” scrisse: «…non fu senza un senso di tristezza che alla fine della guerra lasciai l’ isola di Lamb Holm, perché quella piccola chiesa e quella Madonna dipinta sopra l’altare rimanevano nel mio cuore. Sentii che stavo lasciando una parte di me». Poi, nel 1959, nientemeno che la BBC, per un programma sulla ormai famosa cappella, rintracciò l’artista di Moena e nel 1960 Chiocchetti tornò alle Orcadi, su invito delle autorità locali, per restaurare la cappella. «Non serve descrivere come mi sentii; nessun giornalista potrebbe tradurlo in parole. Ero commosso fino alle lacrime», confessò in un’intervista e nella sua lettera di addio, conservata negli archivi delle Orcadi, scrisse tra l’altro: « …il mio lavoro alla cappella è terminato …la cappella è vostra. Porto con me in Italia il ricordo della vostra gentilezza e della vostra meravigliosa ospitalità. Mi ricorderò sempre di voi e i miei figli impareranno da me ad amarvi». Che uomo!

Chiocchetti tornò alle Orcadi, con la moglie Maria, nel 1964. Poi nel 1970 con i tre figli. Nel 1999, quando morì, a 89 anni, la sua fama era tale che anche i giornali britannici ne riportarono la notizia. Il vescovo di Aberdeen celebrò sull’isola di Lamb Holm una messa in presenza della moglie e dei figli del filantropo artista moenese. Il suo testamento spirituale Domenico Chiocchetti l’ aveva già scritto da tempo e dipinto sulla facciata della casa che s’e ra costruito in cima alla scarpata, lungo il cammino che sale verso la chiesa di Moena, e tutti l’avevano letto: “Empea n lumin, e no maledir l scur” (accendi un lume, invece di maledire il buio).

La storia della cappella degli italiani alle Orcadi è raccontata ammirevolmente nel libro di Philip Paris. È anche la storia di Domenico - “el Goti” per i moenesi - il più giovane di dodici figli d’una famiglia di Sorte, frazione di Moena, che lasciò al mondo appestato da ideologie assassine, da guerre, genocidi e dal fumo acido dei forni crematori, un’opera di pace e di bellezza. Un’espressione visibile del bene.

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