«L’eco ego turismo tra le montagne» 

Paolo Martini suggerisce un grande sforzo educativo per una maggiore tutela e attenzione all’ambiente


di Elena Baiguera Beltrami


MADONNA DI CAMPIGLIO. “Ma quale autenticità, quale tipicità, è ora e tempo di uscire da mistificazioni e luoghi comuni che riportano immagini da cartolina delle Dolomiti se vogliamo veramente iniziare un’azione di sensibilizzazione per la tutela di un patrimonio naturalistico in preda ad un assalto senza precedenti”. A lanciare un monito nei confronti di facili suggestioni è Paolo Martini, bolognese trapiantato a Milano, giornalista di lungo corso e autore televisivo, appassionato di viaggi e montagna. Martini affronta questa operazione editoriale in una sorta di inchiesta spazio-temporale in Dolomiti immaginando in un dotto pamphlet dal titolo “Bambole di pietra, la leggenda delle Dolomiti” (Neri Pozza ed.), un viaggio a ritroso nelle tappe che sancirono il mito leggendario di queste montagne. Il volumetto presentato i giorni scorsi dall’autore a Madonna di Campiglio all’interno del festival di cultura di Montagna “Mistero dei Monti”, parte dalle origini delle esplorazioni dolomitiche e precisamente da Deodat de Dolomieu (1792) geologo, filosofo, pittore e viaggiatore che le scoprì e dal quale presero il nome, per passare quindi in rassegna, attraverso un efficace espediente letterario, personaggi che scrissero, operarono, dipinsero e perfino sacrificarono la propria vita per amore di un territorio straordinario, quali l’eroe irredentista Cesare Battisti, Andreas Hofer, per arrivare a Dino Buzzati, fino alla filmografia di montagna di Luis Trenker. Bambole di pietra, come metafora di un territorio fragile abbiamo chiesto all’autore? “Il titolo deriva da una famosissima leggenda del Latemar – dichiara con disincanto Martini – perché le Dolomiti non sono solo montagne, l’azione dell’uomo ha generato un contesto culturale di grandissima portata: pensiamo alle opere dei pittori Baschenis in Val Rendena, un unicum dal valore inestimabile, ma anche trasformazioni epocali. Dalle provviste trasportate in quota e poi abbandonate per volere dei ricchi alpinisti borghesi d’oltralpe, che usavano i montanari come sherpa, ai residuati bellici della Prima guerra, fino all’agricoltura di intensiva ed allo sfruttamento impiantistico delle vallate alpine per l’industria dello sci”.

Nel suo libro lei si diverte a coniare termini nuovi per raccontare le nuove frequentazioni della montagna come ad esempio l’eco-ego turismo.

“In sostanza spacciamo per ecologiche gare di dunhill, raduni di mountain bike che richiamano migliaia di biker i quali sfrecciano sui sentieri di montagna (con le e- bike siamo all’apoteosi) e l’escursionista, quello che va a piedi, semplicemente godendosi la natura e il paesaggio, deve convivere con questo meccanismo impazzito. Ormai tutto è facile, tutto è raggiungibile, tutto a portata di mano. Per andare a fare il sentiero delle Bocchette si parte alle 11 di mattina dagli alberghi e si arriva in quota quando invece dovrebbe già essere l’ora del rientro. La montagna ormai è concepita come un grande terreno di gioco, se questo è il messaggio che tutto si può fare in qualsiasi luogo, e qui penso al presidente del Coni che vorrebbe fare le gare di fondo nel fossato del Palazzo Sforzesco a Milano, ecco allora mi chiedo che cosa resterà dell’idea di montagna e delle sue prerogative”.

Immaginiamo lei abbia anche delle proposte per uscire da questa deriva modernista.

“Un enorme sforzo educativo da parte di tutti i soggetti che operano in montagna e per la montagna, nei confronti delle popolazioni locali, ma soprattutto dei turisti, con controlli, limitazioni ed anche sanzioni all’occorrenza. Se tutto è raggiungibile allora bisogna entrare nell’ordine di idee che il “tutto” va gestito e regolamentato.













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