In difesa del femminismo 

Rovereto. La scrittrice Michela Murgia al Festival “Educa”: «Non solo serve ancora, ma non è mai servito così tanto. Anche se è cambiato» Dibattito anche sulla scuola. «Se un bambino nasce in una famiglia razzista , i docenti non devono rinunciare al proprio ruolo scientifico»


MARZIO TERRANI


Rovereto. “Ma il femminismo serve ancora?” con questo interrogativo, il sociologo Giuseppe Sciortino, dell’Università di Trento, ha aperto nei giorni scorsi l’incontro del Festival “Educa” con Michela Murgia. E la scrittrice, premio Campiello 2010 e autrice di romanzi e saggi di grande successo, non si è certo tirata indietro nel dare una risposta: «Il femminismo non solo serve ancora, ma non è mai servito così tanto. È un fenomeno che rispetto al passato ha assunto un’ altra forma, perché le cose vive cambiano. Il femminismo oggi non lavora, infatti, solo sui diritti non acquisiti delle donne, ma anche sull’intersezionalità. Nel senso che sta cercando di non concentrarsi solo sul lato femminile ma prova ad abbracciare tutta una serie di tematiche che intersecano altre marginalità, anche le fragilità maschili. In questo momento culturale, non è più possibile infatti prendersi in carico un pezzo senza pensare alla società nel suo complesso. Il femminismo fin dall’origini, inoltre, ha riflettuto sul modello di potere, con l’ ambizione non di prenderselo, ma di cambiarne la sostanza. Quel femminismo è ancora centrale e necessario».

Se il femminismo è ancora necessario, è fondamentale partire dalla rappresentazione mediatica e sociale del femminile.

«Sono convinta che l’immaginario sia la cosa più politica di cui disponiamo, perché è il luogo della rigenerazione. La definizione del corpo adulto è dentro una visione degenerativa da una certa età in poi; questo non vale però per l’immaginario dove diventiamo sempre potenti. La capacità di immaginare un oltre, altri se stessi, permette di strutturarsi prima e meglio rispetto ai problemi. Chi nasce su un’isola come me il confine lo vede sempre. Il confine è fisico e pedagogico e ti spinge a immaginare l’ipotesi del salto e dell’altrove, ti prepara al cambiamento».

«Scrivere – ha detto ancora Michela Murgia - è il lavoro più politico di tutti, proprio perché agisce sull’immaginario delle persone proponendo altre idee e mondi possibili. Siamo cresciuti ad esempio con l’immaginario dell’eroe maschio solitario, speciale e unico, da Luke Skywalker a Harry Potter, tanto per restare alle ultime due generazioni. Io vorrei crescere bambini che non sostengano il peso di essere speciali, ma che percepiscano che il vero superpotere è collaborare con altre normalità e fragilità. È in questo modo che si genera potenza. Per questo ho amato molto Stephen King per aver costruito storie intorno a gruppi di adolescenti marginali che, unendo le forze, riuscivano però a risolvere l’impossibile».

La scrittrice è stata poi interpellata sul tema della decima edizione del festival, ovvero sul rapporto fra scuola e famiglia. Murgia ha posto l’accento sulla necessità di non sminuire l’autorevolezza e l’indipendenza delle istituzioni scolastiche.

«La scuola ha la funzione di creare tessuto sociale ed è fondamentale per la tenuta democratica della nostra società. La famiglia ha il proprio campo educativo che però non deve sovrapporsi con quello scolastico. Non è che se un bambino nasce in una famiglia razzista o di terrapiattisti la scuola per non urtarne la sensibilità deve smettere la propria funzione di istituzione scientifica. Una scuola che dipende dai genitori-utenti è una scuola debole che non fa il bene della collettività».

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