IL LIBRO»DOVE NASCE IL VENTO

Alzi la mano chi davvero conosce Nellie Bly. E chi non la alza, prenda nota di questo appuntamento: sabato prossimo 14 luglio, a Levico Terme, alle 21 in piazza della Chiesa (o Villa Sissi al Grand...


di Paolo Morando


Alzi la mano chi davvero conosce Nellie Bly. E chi non la alza, prenda nota di questo appuntamento: sabato prossimo 14 luglio, a Levico Terme, alle 21 in piazza della Chiesa (o Villa Sissi al Grand Hotel Imperial in caso di pioggia). Qui, a spiegarvi tutto per filo e per segno di questa incredibile figura di giornalista americana, inchiestista ante litteram e intervistatrice alla Fallaci, star mediatica negli Stati Uniti a cavallo tra ’800 e ’900 (girò il mondo in 74 giorni, sfidando vittoriosa il Phileas Fogg di Jules Verne), sarà chi l’ha studiata come pochi, traendone un libro affascinante come il personaggio che racconta: un libro che da mesi è un sorprendente fenomeno editoriale. Lui è il giornalista Nicola Attadio, capo ufficio stampa di Editori Laterza, ma anche autore e conduttore per Radio3 di “Vite che non sono la tua”, il titolo del suo lavoro è invece “Dove nasce il vento” (Bompiani, 204 pagine, 16 euro). Ne parlerà in dialogo con chi qui scrive, per la rassegna “Levico incontra gli autori”.

Attadio, chi è Nellie Bly e perché un libro su di lei?

È il simbolo di un certo tipo di ribellione, molto americana, individuale e non di movimenti, che infatti lei stessa guarda con sospetto, incarnando anche per questo lo spirito di una nazione. E un tempo in cui questa nazione è attraversata da una straordinaria energia, che lei cavalca fino quasi all’autodistruzione pur di raggiungere il suo obiettivo: poter esprimere il suo immenso talento giornalistico.

Dal libro emergono due elementi sostanziali di Nellie: appunto l’amore per il giornalismo, ma anche una sorta di protofemminismo, anche per via di un’infanzia difficile. Quale dei due è il più importante?

L’intrecciarsi dei due, direi. Dal punto di vista del mio lavoro, mi ha colpito subito che attraverso di lei potevo raccontare l’alba del giornalismo che conosciamo, e di cui oggi forse celebriamo il tramonto, quanto meno di quel modello immaginato da Joseph Pulitzer: le grandi battaglie con cui i giornali formano l’opinione pubblica, giornali dai titoli cubitali, con lo sport e la cronaca nera, cronache che accompagnano per l’intera giornata, pagine su cui puoi fare affidamento perché raccontano al meglio cose che vedi ma che non sei in grado di formalizzare.

Giornali che danno la gerachia delle cose davvero importanti: che nostalgia.

Esatto: questo è il nostro titolo, questa è la cosa più importante. La grande lezione di Pulitzer. Mentre oggi decidiamo da soli, scegliendo un menu di notizie e informazioni che non è detto siano autenticamente legate alla realtà, a ciò che la politica nel senso alto dovrebbe imporci. E lo sguardo di Nellie è il più utile per comprendere questo precedente modello di giornalismo, sempre più lontano.

Nellie che però è donna, in un mondo popolato da uomini come quello delle redazioni, newyorkesi e non solo.

E infatti questo suo punto di vista non avrebbe avuto la stessa forza se non ci fosse anche la sua storia di donna, che cerca di operare in un ambiente governato da regole maschili. Ma lei rompe gli schemi, inventa e impone un suo stile. Come quando a soli 23 anni inizia a realizzare inchieste sotto copertura, come quella straordinaria in un manicomio femminile, fingendosi pazza.

Tutto questo le fruttò qualcosa in termini di carriera?

No. E anche questo è interessante: rimarrà inchiodata al ruolo di redattrice, nonostante il giro del mondo in meno di 80 giorni, che giornalisticamente fu un terremoto. Basta pensare che attraverso quell’operazione la stampa inventò il marketing editoriale: a fianco delle cronache del viaggio, il contest tra i lettori. D’altra parte Nellie aveva capito subito quale fosse il problema, fin dal suo primo articolo su un giornale di Pittsburgh: la possibilità per le donne di accedere al lavoro. Anche qui incarnando il sogno americano: la possibilità di avere tutti un’occasione.

Il libro sta godendo sui social di un incessante tam tam tra i lettori: se lo spettava?

Che avesse un’eco così profonda, sicuramente no. Però quello di Nellie è un personaggio davvero ricco di spunti. E credo sia alla base di quello siamo noi oggi.

In che senso?

La fine dell’800 è simile a questo nostro tempo di grandi cambiamenti tecnologici in cui lo spazio si rimpicciolisce, la velocità è un valore, le comunicazioni sono immediate e le persone si spostano. Anche allora i flussi erano potenti: New York in 50 anni passò da 500 mila abitanti a 3 milioni. La differenza è che allora c’era una grande fiducia nel futuro, c’era speranza. Ma poi arrivò la Prima guerra mondale.

Dove pure Nellie arriva come cronista, sul fronte orientale, giornalista di un Paese prima neutrale e poi nemico delle potenze centrali. Ed è un’altra esperienza straordinaria.

Infatti. Perché Nellie dal fronte racconterà non come si spostano gli eserciti, ma gli effetti della guerra e della tecnica, la disumanizzazione.

Per chiudere: racconti di quando Nellie seguì l’insediamento del presidente Wilson. Fu una cronaca preveggente.

Riuscì chissà come ad accedere al palco presidenziale. Da lì aveva la stessa visuale sulla folla che aveva Wilson. Voleva mettersi nei sui panni. E scrisse: chissà se un giorno una donna potrà diventare presidente. E allora, era il 1913, le donne negli Usa non avevano neppure diritto di voto.

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