L’INTERVISTA

Daria Bignardi: «L’ansia? Basta imparare a lasciarla correre»

La scrittrice e giornalista oggi con il direttore Faustini a “Un Natale di Libri”. «Ogni romanzo parla ai lettori in modo diverso ed è giusto così»


di Daniela Mimmi


BOLZANO. Lea ha una vita perfetta. O almeno così sembrerebbe: ha una bella vita, fa il lavoro che ha sempre sognato in quanto è una scrittrice di talento e autrice di tanti spettacoli, ha una bella famiglia con tre figli e un marito, Shlomo, del quale è molto innamorata. Questa è l’apparenza. In realtà Lea nasconde tanti problemi: il rapporto burrascoso con il marito, l’ansia con la quale deve convivere e infine un tumore. Lea è il personaggio principale di “Storia della mia ansia”, il sesto romanzo della scrittrice ed ex conduttrice, nonché direttrice, Daria Bignardi.

L’autrice presenterà il suo nuovo libro oggi 29 novembre alle ore 18.30, nella Sala di Rappresentanza del Comune di Bolzano all’interno della rassegna letteraria “Un Natale di Libri”. La conduzione dell’incontro è affidata al direttore dell’”Alto Adige”, Alberto Faustini. Ferrarese di origine, Daria Bignardi ha esordito in televisione insieme a Gad Lerner nel 1991 nella trasmissione “Milano, Italia”. Dopo alcuni anni trascorsi in Rai è passata a Mediaset, diventando conduttrice di programmi culturali e del talk show di prima serata “Tempi moderni” e conducendo le prime due edizioni del reality show “Grande Fratello”. Quindi è passata a La7 per dirigere il talk show “Le Invasioni Barbariche”. Ha diretto “Donna” e Rai3 fino al luglio del 2017. Nel frattempo è riuscita a scrivere anche sei romanzi. Con lei parliamo di questo nuovo “Storia della mia ansia”.

Chi è Lea?

«Lea Vincre è una donna quasi cinquantenne che apparentemente ha tutto ma è molto condizionata da un’ansia di cui si vergogna al punto da cercare di nasconderla, fino a che incontrerà eventi e persone che la costringeranno a riconoscerla».

Lea ama il marito, ma non lo sopporta. Che tipo di relazione hanno?

«Non si capisce: sono molto diversi e fanno fatica a comunicare. Lui non parla, lei ne soffre. Si sono amati molto, hanno cresciuto dei figli, ma nel periodo in cui si svolge il romanzo sono in crisi».

La scoperta di avere un tumore è un po’ una chiave di svolta. Come cambia Lea dopo questa esperienza?

«Forse Lea riconosce la sua ansia e capisce di avere combattuto troppo a lungo con se stessa. C’è un punto in cui dice “Ero io il mio peggior nemico”. È un punto importante».

Che cosa le piace di Lea e che cosa di lei non la sopporta?

«Mi piace la sua curiosità, il suo senso dell’umorismo e la sua vitalità, m’ infastidisce la sua ansia e la sua dipendenza dal marito. Lui sembra molto più equilibrato e lucido di lei: ma è un personaggio che si porta dietro una misteriosa solitudine».

In che cosa le assomiglia?

«Il mestiere che fa: Lea scrive. E sua madre: le ho prestato una madre malata di ansia ossessiva abbastanza simile alla mia».

Lea ha paura dell’abbandono, più che della morte e della malattia. Non è un po’ strano?

«Sì è strano, ed è bello che lo sia, dal punto di vista della narrazione. “Ma come, questa rischia la pelle e sta lì a struggersi per il marito? Come è possibile?”. Rilke ha scritto che le nostre paure sono come draghi a guardia dei nostri tesori più nascosti».

Pensa che il suo romanzo possa aiutare chi si trova nella situazione di Lea?

«Penso che i romanzi parlino ai lettori in modo diverso, e che sia sempre il lettore a definire la storia che si racconta e trovarci qualcosa che per lui ha significato. Questa è la storia di un lungo amore condizionato dall’ ansia della protagonista: mi hanno scritto lettori maschi e femmine che si sono riconosciuti in Lea e Shlomo, non necessariamente gli uomini in Shlomo e le donne in Lea, anzi».

Come mai ci ha messo 40 mesi a scrivere questo libro?

«Tra la prima e la seconda stesura ho fatto il servizio civile in Rai. Credo che al romanzo abbia giovato. Anche mentre non scrivevo la storia scorreva dentro di me come un fiume carsico. E quando ho ripreso a scrivere avevo trovato molte soluzioni narrative che nemmeno sapevo di stare cercando. Una delle cose belle dello scrivere è che fai tante scoperte e ti sorprendi sempre: i personaggi fanno cose che nemmeno tu che sei l’autore avresti immaginato potessero fare quando hai iniziato a raccontare la loro storia».

Anche per lei come per Lea la scrittura è uno strumento catartico per tenere a bada l’ansia?

«L’ansia non si tiene a bada, casomai si lascia andare. Però lasciarla andare aiuta a guardarla da fuori, mentre ti cammina davanti, e quindi averne meno paura. Io ci ho fatto quasi amicizia».

Nonostante abbia confessato di soffrire anche lei di ansia, tende a prendere le distanze da Lea. Come mai?

“Perché Lea è un personaggio, non sono io. Le ho prestato alcuni pensieri e qualche esperienza, ma è diversa da me. E ci tiene alla sua autonomia. È un tipino! Guai se la fagocitassi, mi darebbe due sberle».

Ha fatto tante cose: ha scritto sei libri, diretto giornali e reti televisive, creato e condotto trasmissioni televisive, eccetera. In che ruolo si vede nell'immediato futuro?

«Ho scritto un testo che ho appena provato in un piccolo meraviglioso teatro bolognese, ed è andata molto bene: il 21 gennaio lo porto a Milano. Parlo di me e del mio rapporto coi romanzi del ’900, e racconto di Italo Svevo ed Elio Vittorini. Leggo alcuni testi. C’è una cantautrice napoletana che canta i suoi brani che dialogano magicamente coi miei. Si chiama Flo ed è un’artista che mi ispira molto. Poi inizierò il romanzo che ho in mente da un anno. Non vedo l’ora».

 













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