Chet Baker dalle Dolomiti arriva al mare di Sardegna 

L’evento. La produzione regionale del Teatro Stabile di Bolzano che unisce teatro e musica viene portata in scena da Paolo Fresu, che ci racconta la sua esperienza, al Festival di Berchidda


Daniela Mimmi


Berchidda (sassari). Dal Trentino Alto Adige alla Sardegna il passo è... breve. Più di quanto non si pensi, se di mezzo c’è la cultura, in forma di teatro - musica. Sbarca infatti nella più bella isola italiana «Tempo di Chet. La versione di Chet Baker», produzione del Teatro Stabile di Bolzano, che dopo aver avuto successo innanzitutto in “casa”, ovvero a Bolzano e in Trentino Alto Adige in generale, sarà in scena a Berchidda, domani, per aprire il festival “Time in Jazz”, creato e realizzato da Paolo Fresu. Ovvero il protagonista principale della produzione made in Bolzano. Lo spettacolo, scritto da Leo Muscato e Laura Perini per la parte drammaturgica, vede appunto Fresu nel doppio ruolo di autore della partitura musicale e interprete sul palco, con tromba e flicorno. Con 66 repliche nelle principali piazze italiane all’attivo, lo spettacolo sulla vita di Chet Baker, uno dei miti musicali più controversi e discussi del Novecento, rappresenta un unicum nel panorama teatrale nazionale. Chiediamo a Paolo Fresu qualche anticipazione sulla versione di Chet in terra sarda. «È una grande scommessa, perchè sta in scena solo una sera... È molto dispendioso perchè tutte le scenografie arrivano in Sardegna da Bolzano, quindi Tir, navi e via dicendo. E dopo lo spettacolo a Berchidda, tutto sarà nuovamente smontato e ripartirà per Bolzano. Una follia! La mia è stata una scelta ponderata, ma anche osteggiata».

Da chi? E perchè?

«Perchè è una operazione costosa, rischiosa, e soprattutto una cosa mai fatta: uno spettacolo teatrale in un Festival del jazz... Ma io so che andrà benissimo, come del resto è andato benissimo durante la tournée di quest’anno».

Il disco che raccoglie le musiche dello spettacolo ha ricevuto 5 milioni di visualizzazioni, ovvero anzi di ascolti, su Spotify. Le ragioni del successo di “Tempo di Chet”, secondo lei?

«È uno spettacolo molto particolare, che unisce teatro e musica e jazz. Il direttore del Teatro Stabile di Bolzano e anche il mio manager Vittorio Albani, hanno avuto una intuizione stupefacente. Sono già stati fatti spettacoli di questo genere, ma in questo caso c’è un bilanciamento perfetto tra la musica e la drammaturgia. All’inizio il pubblico resta un po’ destabilizzato, ma poi, nei posti dove siamo stati 6 o 7 giorni, c’era gente che veniva due volte: una volta per godere la musica e una per seguire la storia. E per finire, racconta una storia molto intensa e drammatica, una storia che finì sulle pagine di tutti i giornali, anche in Italia, dove Chet Baker finì in galera e ci rimase per un anno. Era un grande musicista jazz e per di più bianco, con una vita decisamente movimentata».

E il futuro di questo spettacolo?

«Il prossimo anno riprenderà la tournée toccando, tra le altre, città estremamente sensibili a progetti multidisciplinari, come Torino e Perugia. Poi, a gennaio 2020 verrà presentato nel tempio della musica contemporanea, l’Auditorium Parco della Musica di Roma, nella Sala Sinopoli, un evento inedito nella storia della prosa italiana».

A lei personalmente cosa piace di Chet Baker?

«Come musicista è stato uno dei miei punti di riferimento, insieme a Miles Davis: Miles per la ricerca, Chet per la poetica».

Da Chet ai giorni nostri quanta e quale strada ha percorso la musica jazz?

«Molta e in tante direzioni. Nel festival in Sardegna se ne sentono veramente di tutti i colori. Ci sono tanti nuovi musicisti molto coraggiosi e all’avanguardia. Tra questi cito solo Nils Peter Molvaer, che unisce jazz ed elettronica».

La sentiamo a Bolzano o in qualche località del Trentino Alto Adige questo inverno?

«Chissà... Ancora non lo so, ma almeno una volta all’anno capito a Bolzano. Magari per suonare ai Mercatini di Natale...».

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