ARTE»LA NUOVA MOSTRA ALLA GALLERIA CIVICA DI TRENTO

La creatività può avere dei confini? E delle radici che affondano in un luogo geografico specifico? Che peso ha la tradizione nell’espressività artistica? La si può individuare all’interno di un’opera...


di Maria Viveros


La creatività può avere dei confini? E delle radici che affondano in un luogo geografico specifico? Che peso ha la tradizione nell’espressività artistica? La si può individuare all’interno di un’opera? Sono queste le domande che si sono posti Luca Coser, Margherita de Pilati e Gabriele Lorenzoni nella fase di progettazione della mostra “Vicino. Non qui” che, inaugurata questo venerdì alla Galleria Civica di Trento, spazio annesso al Mart dedicato al contemporaneo, sarà visitabile fino al 14 ottobre. Il sottotitolo che l’accompagna, “Percorsi di creatività trentina”, non deve trarre in inganno. Come, infatti, ha spiegato Luca Coser, l’idea sottesa all’esposizione e, prima di questo, alla selezione che è stata fatta degli artisti da presentare in mostra, è quella della loro lontananza dal Trentino, lasciato per una dimensione “altra”, internazionale. Catalizzatore del percorso che indaga le diverse declinazioni della creatività (dalle arti visive alla musica, all’architettura, al cinema e alla moda) è la consapevolezza che il linguaggio di ognuno dei ventuno artisti individuati fra i centinaia dell’ADAC, l’Archivio degli artisti contemporanei trentini, non è stata guidata dalla presenza, all’interno della loro produzione, di radici identitarie, poiché «tutti i loro linguaggi si misurano con le dinamiche della contemporaneità e, pertanto, sono globali». Opere e rispettivi autori sono posti in dialogo fra di loro, riuniti in un unico spazio e in un unico arco di tempo sottolineato dal suggestivo allestimento curato dal collettivo di architettura Campomarzio, che si snoda attraverso casse da imballaggio grigie su cui campeggiano le scritte “Butterfly transport” e “Handle with care”: richiamo all’effimero, al sogno, ma anche metafora del viaggio come “perdita” del proprio luogo di origine, così come dell’ineluttabile cammino nella vita, sospinti da una forza superiore a ogni volontà.

Espressione di generazioni diverse (sono nati fra il 1943 e il 1989), gli artisti protagonisti della mostra vivono e sviluppano la loro ricerca in Italia o all’estero (i luoghi in cui lavorano sono indicati nelle didascalie che accompagnano le opere), susseguendosi secondo legami tematici individuati dai curatori. Il paesaggio, dipinto, immaginato o modificato, ha largo spazio (i due quadri a inizio e a chiusura della mostra di Veronica de Giovanelli, “Veil”, tela bifacciale di Matteo Rosa, o le immagini delle architetture di Fabrizio Barozzi), così come l’indagine sulla figura umana, in particolare le visioni femminili del regista Andrea Pallaoro (vincitore, ricordiamolo, con Charlotte Rampling della Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile alla scorsa Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia) che ha selezionato per l’occasione sequenze tratte dai suoi lungometraggi “Medeas” e “Hannah”. Interloquisce con queste il trittico di Rafael Pareja “Love me”, mescolanza di immagini fotografiche, pittoriche e grafiche che, attraverso l’ironia, allentano la durezza delle situazioni raffigurate.

Presenta la realtà sic et simpliciter il film-documento “Vite violate” di Loredana Dordi, regista e documentarista fedele alla poetica del vero, come già aveva fatto con “Processo per stupro” (una copia è conservata negli archivi del MoMA di New York), andato in onda sulla RAI nel 1979, lavoro che ha parlato alle coscienze, segnando una tappa fondamentale nell’evoluzione della cultura del nostro Paese.

L’esperienza personale di Anna de Manincor e del Collettivo Zimmerfrei, confluita nel film “La valle”, apre le porte della “comunità involontaria, sorta di famiglia allargata” in cui l’artista vive nella campagna fra Bologna e Imola, luogo di creatività e di aggregazione. Dopo aver superato la foresta di drappi dipinti (dei “quadri morbidi”), istallazione di Giancarlo Ferrari, attivo nel mondo della moda, si raggiungono due opere apertamente schierate contro il consumismo e la politica del presente. “Last supper”, di Carmelo Arnoldin, canadese d’adozione, è una “metal tapestry” realizzata con materiale di scarto: migliaia di lattine di bibite ridotte a strisce che, intrecciate danno corpo a una gigantesca natura morta di junk food dalla forte inclinazione Pop, sia pur ispirata, come ha dichiarato l’autore, a quelle secentesche di Zurbaran. “Last”, di Valentina Miorandi, è invece il rimaneggiamento grafico dell’Ultima cena leonardesca: da solo, al centro del tavolo, campeggia Cristo, abbandonato dai suoi apostoli, denuncia del sistema politico italiano che, trascurando il nostro patrimonio artistico, lo sta gradualmente facendo sparire. La polemica lascia il posto alla pura poesia nella produzione di Micol Grazioli, giovane artista attiva a Marsiglia, di cui sono esposti tre lavori che propongono un’indagine sulla parola, sul tempo e sulla forma attraverso materia ed elementi naturali che riconducono alle origini dell’essenza della civiltà dell’uomo (“Archè”, lavoro patafisico di scavo all’interno del significato delle parole) o agli effetti dello scorrere del tempo in “Semina-Serere”, scultura di oltre duecento chili, “negativo” di albero, realizzata in oltre tre anni dalla naturale decomposizione di un tronco che la Grazioli aveva ingabbiato all’interno di una forma di cemento. Fra gli ultimi lavori in mostra, un video di Cinzia Angelini, story artist attiva a Los Angeles, attualmente impegnata nella realizzazione del cortometraggio “Mila”, progetto che sta coinvolgendo una squadra di trecentocinquanta professionisti dell’animazione, provenienti da trentacinque Paesi, qui presentato attraverso sequenze che ne suggeriscono il processo creativo. Chiude il percorso Giacomo Sartori, scrittore attivo a Parigi, che con “La vera età” (ognuno di noi vive un’età che raramente corrisponde a quella anagrafica) lega le sue parole alle immagini video di Sergio Trapani e la “vicinanza” con lo spettatore diventa, ancora una volta, condivisione.













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