Dalzocchio o Airoldi in aula doppia fumata nera 

Le opposizioni si spaccano ma risultano decisivi i “franchi tiratori” valdughiani I primi due tentativi di eleggere il nuovo presidente del consiglio vanno a vuoto 


di Luca Marsilli


ROVERETO. L’aria martedì sera era quella e la nottata non è servita a cambiarla. Col nuovo presidente del consiglio da eleggere, in sostituzione di Mara Dalzocchio, la maggioranza ha fatto un passo indietro: “come già detto a inizio consiliatura – ha chiarito la posizione il sindaco Valduga – riteniamo che la presidenza del consiglio vada assegnata alle minoranze. Quindi vi invitiamo a proporre un candidato e noi lo voteremo”. Troppo facile, si direbbe. Ma invece facile non è per niente. Perché le minoranze si sono presentate con due ipotesi diverse. Il Pd ha proposto Mario Airoldi; la Lega Nord Mara Dalzocchio. Ottime argomentazioni da parte di entrambi: per il Pd nella logica di “staffetta” prescritta dallo statuto pare evidente la preferenza per un cambio di presidente a metà mandato. E inoltre quando a inizio legislatura loro diedero il via libera a Dalzocchio, era più o meno pattuito che per gli ultimi due anni la presidenza del consiglio sarebbe stata loro. Che peraltro ai numeri sono anche maggioranza all’interno della minoranza, se è lecito il gioco di parole. La Lega ha risposto che Dalzocchio ha svolto bene il proprio ruolo, che lei è legata a quella carica e ci tiene a portarla fino a fine mandato e che non c’è ragione di cambiare.

Uscendo dall’ufficiale, va detto che siamo anche in piena campagna elettorale e che se fino a qualche mese fa nessuno era tenero con la presidente, che le minoranze tutte consideravano la quinta colonna della maggioranza, adesso prevalgono logiche diverse. E pare che anche le segreterie si siano fatte sentire.

Comunque, un’ora e mezza di conclave in sala giunta, ma le minoranze ne sono uscite con le stesse identiche posizioni di quando ci sono entrate. A dimostrare che la mediazione sarà anche un’arte, ma che se si deve scegliere tra bianco e nero, o uno cede o c’è poco da mediare. Per artisticamente che lo si faccia.

In aula quindi. La maggioranza ha preso atto che un nome unitario non c’era e ha chiarito ulteriormente la propria posizione: “siamo disposti a votare qualsiasi candidato unitario. Ma se la scelta resta tra due, Airoldi e Dalzocchio, voteremo Dalzocchio per continuità”. Discorso anche più che presentabile: a fare il presidente del consiglio si impara, e quindi meglio chi è già formato di un esordiente. Il Pd ha chiesto per l’ultima volta alla Lega di fare un passo indietro, la Lega ha riposto per l’ultima volta che non ci pensava nemmeno. E si è andati al voto. In aula c’erano 28 consiglieri e alla prima e seconda votazione, per eleggere il presidente del consiglio servono i due terzi dell’intero collegio: 22 voti. Sulla carta era fattibile: con la maggioranza compatta, Dalzocchio poteva essere “incoronata” già al primo tentativo. Ma la politica non è una scienza esatta, soprattutto quando si vota a scrutinio segreto. Allo spoglio, 17 voti per Dalzocchio, 5 per Airoldi, 1 per Zenatti e 5 schede bianche. Posto che i consiglieri Pd in aula erano 5 e quelli della Lega 2, ed è ragionevole pensare che tutti abbiano fatto i seri, c’è poco da sbagliare: almeno tre delle 5 schede bianche più la “dispersa” (Zenatti) vengono dalla maggioranza. Quindi bene che vada 4 dei consiglieri di maggioranza non hanno seguito l’indicazione del loro sindaco. Volendo, sono il 20 per cento: nella vecchia Dc sarebbero stati una signora corrente. Sono civici e quindi più che di correnti bisogna parlare di mal di pancia.

La seconda votazione ha dato identico risultato. E quindi tutto rinviato. Alla prossima seduta di consiglio basterà la maggioranza assoluta (16 voti) e Dalzocchio dovrebbe farcela.

Sia Zenatti che Fait per il Pd commentano molto duramente: quella di Valduga, dicono, è una scelta politica contrabbandata per voglia di continuità. Scelta legittima, ovviamente, ma in netto contrasto con la dichiarata moderazione e apertura dei “civici”. Perché - dice il Pd - nella città della pace e dell’accoglienza, dare la presidenza del consiglio ad una “salviniana” sembra un controsenso. Tantopiù da parte di un sindaco civico che a Trento pare fare l’occhiolino al centrosinistra in nome di comuni valori e sensibilità.

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