il caso

Sanifonds, anche nella scuola i primi no

Mentre nell’Apss sono quasi 3.400 i “dissidenti”, anche alcuni insegnanti si oppongono: allo “Scholl” 60 su 90 dipendenti


di Luca Pianesi


TRENTO. Rischia di partire quantomeno azzoppato Sanifonds, il fondo sanitario voluto dai sindacati e sostenuto dalla Provincia con lo scopo di fornire forme integrative di assistenza in caso di malattia, non autosufficienza e infortuni. Se al 27 gennaio, infatti, erano 2.500 le richieste di non adesione al fondo dei dipendenti dell'Azienda sanitaria (come riportavamo ieri sul Trentino) adesso sono arrivate intorno a quota 3.400 (il 45% del totale). Che, tradotto in soldoni, significa oltre 400mila euro in meno nelle casse del nascente fondo. Una somma cospicua se si pensa che dal comparto sanitario le previsioni di entrate erano fissate a 1 milione e 151 mila euro (il totale annuo dovrebbe essere di 5,2 milioni di euro). E il buco potrebbe allargarsi ancora.

Anche il mondo della scuola (che è quello che pesa di più per la nascita di Sanifonds con 1 milione e 654mila euro di previsione d’entrata), infatti, si sta mobilitando, pur nella quasi totale assenza di informazioni, come ci hanno spiegato direttamente alcuni insegnanti. E' il caso, per esempio, del Liceo Linguistico “Sophie Scholl” di Trento dove su circa 90 dipendenti già una 60ina avrebbe detto di “no”. Lo hanno fatto con una lettera il cui testo chiarisce perfettamente il caos nel quale gli insegnanti si stanno muovendo: «Preciso di essermi rivolta/o agli uffici competenti presso il mio luogo di lavoro - si legge nella dichiarazione di non adesione - per esprimere la volontà di non aderire a Sanifonds; mi è stato risposto che al riguardo non è stata predisposta alcuna procedura, né è pervenuto alcun chiarimento. Pertanto, confermando con la presente la mia volontà di non aderire, diffido l’amministrazione dal ritenermi iscritta/o d’ufficio. Colgo l’occasione per denunciare – conclude la lettera – come gravemente scorretta la scelta di acquisire il consenso del lavoratore mediante “silenzio-assenso”, tanto più in totale mancanza di una seria informazione».

Ma cosa sta accadendo? Come noto il fondo Sanifonds prevede che la Provincia stanzi l’equivalente di 128 euro a lavoratore così da permettere ai 39 mila dipendenti (ad oggi, come detto sono già scesi) di accedere a una serie di servizi sanitari. Servizi che, per primi, sono stati al centro di una forte polemica etico-politica. L’adesione al fondo, infatti, tra le altre cose permetterebbe al dipendente pubblico (pagato quindi dalla fiscalità generale) di accedere a servizi sanitari pubblici con il rimborso, con soldi pubblici (perché messi dal loro datore di lavoro: la Provincia), del 50% del ticket: in una parola la sua compartecipazione alla spesa sanitaria, che dovrebbe servire a garantire in futuro entrate e risorse allo stesso servizio pubblico, verrebbe non solo in parte rimborsata ma addirittura con risorse pubbliche. Ad agitare le acque c’è anche la questione che riguarda i rimborsi previsti per “prestazioni specialistiche” già garantite gratuitamente, nel caso di necessità, dal servizio sanitario (per esempio mammografie, radiografie, ecografie). Quel che potrebbe, quindi, accadere è che il cittadino, pur non avendo una reale esigenza, ma avendo a disposizione delle risorse per queste prestazioni finisca per rivolgersi al privato. Infine c’è il tema dell’iscrizione d’ufficio: il dipendente provinciale, infatti, si vede iscritto automaticamente a questo fondo, del quale molti sanno poco o nulla.

Un’operazione, come scritto nella stessa richiesta di non adesione degli insegnanti, ritenuta poco trasparente. Queste alcune delle ragioni che hanno portato tanti dipendenti dell’Apss a rinunciare a un servizio comunque tecnicamente a loro “favorevole”. Perché, come scrive la Cgil sul suo sito internet, «Sanifonds Trentino è alimentato con risorse contrattuali aggiuntive. I lavoratori vengono iscritti automaticamente dal datore di lavoro, perché il fondo non comporta nessun onere per loro». «Rinunciando, rinunciano a quei 128 euro - aggiunge Zeni - ma il fondo partirà lo stesso. Magari con meno risorse, ma anche con meno aderenti. Quindi la proporzione sarà mantenuta». E i 128 euro non “accettati”, in questo modo, diventerebbero “risparmi di gestione della Pat”. Ma c’è un ma. La stessa Cgil specifica che «il fondo, per poter essere avviato, necessita di un numero minimo di iscritti piuttosto consistente. E ciò per garantire un monte di risorse economiche sufficientemente consistente su cui operare». La partita è aperta.

 













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