L'INTERVISTA raffaella ramponi psicologa 

«Ragazze in difficoltà, che si sentono inadeguate» 

Il caso della settimana. I disturbi alimentari cominciano con pasti saltati e cambi d’umore  «Cari genitori, fate attenzione quando vostra figlia non vuole più sedersi a tavola con voi» 


ANDREA SELVA


«Ragazze fragili, che si sentono inadeguate e che pensano di non meritare affetto e attenzione». La psicologa Raffaella Ramponi segue decine di ragazze che si rivolgono al Centro per i disturbi alimentari dell’azienda sanitaria

Ci sono dei tratti comuni in queste vicende?

Ogni storia è diversa dall’altra, ma queste ragazze presentano dei tratti comuni.

Quali?

Provano un senso di inadeguatezza, non si sentono all’altezza, ritengono di non essere degne di affetto. Poi ci sono dei fattori predisponenti: ansia, tendenza al perfezionismo e in alcuni casi anche eventi traumatici subiti durante l’infanzia. Un disagio psichico che viene trasferito sul piano corporeo.

Come si manifestano i primi disturbi alimentari?

I primi segnali arrivano dal rapporto con il cibo, con un’attenzione molto rigida alle calorie e la tendenza a scartare i cibi grassi e calorici. Poi arrivano le scuse per evitare di sedersi a tavola con gli altri: ho già mangiato, ho fatto merenda tardi, sono a posto così. In realtà stanno assecondando il bisogno di controllo del proprio corpo. Quindi arrivano i cambiamenti a livello emotivo: ragazze solari che iniziano a essere molto tristi, con tono dell’umore basso, tendono a isolarsi e diventano nervose e irritabili. Infine il calo di peso e l’eccessiva magrezza, magari accompagnate da un aumento dell’attività fisica.

Se il disturbo è per lo più femminile i genitori, madri e padri, come reagiscono?

Non ne farei una questione di genere, si tratta di problemi che impattano molto sulle famiglie e ognuno reagisce con le risorse di cui dispone. I disturbi alimentari sono - tra i disturbi psichici - la malattia con il più alto tasso di mortalità, quindi per i genitori - maschi o femmine poco importa - sono momenti di grande angoscia.

Dai primi segnali al riconoscimento della malattia, passa molto tempo?

Passano in genere qualche mese. E questo può essere un problema perché più l’intervento è precoce e migliori sono i risultati. Il fatto è che queste ragazze non vogliono curarsi, anzi ritengono di non aver bisogno di cure.

Le terapie in cosa consistono?

Sono personalizzate per ogni situazione, ma in ogni caso sono multidisciplinari: ci sono psicoterapie, c’è l’intervento dei nutrizionisti e in alcuni casi vengono praticate anche terapie con i farmaci.

È un percorso lungo?

Sì, in genere un paio d’anni, con la necessità di coinvolgere anche i familiari per ottenere i risultati migliori.

Quando si può parlare di successo?

Quando queste giovani pazienti riescono a trovare la sicurezza in sé stesse per affrontare il mondo in autonomia, con una consapevolezza slegata dall’aspetto fisico, libere dall’ansia e dai sensi di colpa collegati al cibo.

E quando invece le terapie falliscono?

Quando il problema diventa cronico. Ci sono persone che finiscono per restare condizionate da un rapporto malato con il cibo e vivono con ansia e sensi di colpa una vita che è molto penalizzata da questi disturbi.

Quali sono le cause dell’aumento dei disturbi alimentari?

Su questi temi c’è una maggiore attenzione rispetto a qualche anno fa e quindi varie situazioni vengono semplicemente riconosciute come “disturbi alimentari” a differenza di un tempo. Ma non è solo questo: viviamo in un contesto sociale dove l’apparire è molto importante (pensiamo ai valori che passano sui social network) e questo, nel caso di persone vulnerabili, può diventare un terreno fertile per questi disturbi.

È un problema dei nostri tempi e della nostra società?

I nostri ragazzi vivono in un contesto complicato, ma in realtà l’anoressia è un problema molto più antico rispetto ai social network.













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