Ponti, sono 57 i «sorvegliati speciali» 

Sono quelli caricati di maggior traffico, a partire dalla Valsugana. Interventi in arrivo sui viadotti Tamarisi, Crozi, Canova


di Chiara Bert


TRENTO. I ponti e viadotti della Valsugana (Tamarisi a Pergine, Crozi, Canova, Vela), ma anche il ponte strallato di Zambana, sulla Trento-Rocchetta e il ponte Lodovico per Povo: sono i ponti monitorati con sensori a distanza. «Per la loro complessità strutturale, sono stati messi sotto controllo fin dalla nascita», spiega il dirigente del Dipartimento Infrastrutture Raffaele De Col.

Sono complessivamente 1140 i ponti sulle strade provinciali del Trentino, più altri 200 ponti ciclabili. Di questi, 57 sono quelli considerati «strategici» per la viabilità e che hanno sollecitazioni importanti perché sopportano un carico di traffico di 20-25 mila mezzi al giorno, fino ai 45 mila della Valsugana: parliamo del viadotto Tamarisi sulla circonvallazione di Pergine, quello dei Crozi, quello di Canova, della Vela, ponte San Nicolò. Ci sono poi altri ponti particolarmente alti, come in Vallarsa, ma che hanno un carico di traffico di un decimo e quindi una sollecitazione a invecchiamento molto più bassa.

Questa sessantina di ponti è quella che richiede una manutenzione continua che la Provincia (che dal ’98 ha la competenza sulle strade) realizza attraverso un sistema (il Bridge management system) che è una sorta di «cartella clinica» di ogni ponte: sulla base delle ispezioni vengono stilati dei «punteggi di degrado» per programmare poi gli interventi di manutenzione. Complessivamente sono più di 500 le persone coinvolte nel sistema di controllo di ponti, gallerie, muri di sostegno.

I sensori. «Ci sono poi i ponti più recenti - spiega ancora De Col - che nascono «già monitorati», come il ponte strallato di Zambana (degli anni 2000) o il ponte Lodovico per Mesiano, dove esiste un sistema di monitoraggio con sensori che offre informazioni di carattere tensionale, una novità degli ultimi 10-15 anni. Nelle prossime ristrutturazioni metteremo dei sistemi analoghi». La linea di demarcazione, per i ponti, è il 1971: quelli progettati prima di questa data, nascono su progetti affidati alla capacità del progettista; dopo il ’71 sono state introdotte le norme sulle costruzioni che hanno stabilito per legge i coefficienti di sicurezza che hanno imposto ai materiali di non lavorare oltre un terzo della loro capacità di resistenza. «Noi siamo intervenuti su tutti i ponti più vecchi», ricorda De Col, «ci sono state diverse demolizioni, uno degli interventi più recenti di abbattimento e ricostruzione è stato quello di Stramentizzo, che risaliva agli anni ’50».

Risorse e manutenzione. Sono tre i maggiori interventi programmati di ristrutturazione o rifacimento: viadotto Tamarisi (7,4 milioni richiesti di finanziamento europeo), viadotto dei Crozi (4 milioni), quello di Canova (20 milioni). Ma molte altre sono le manutenzioni programmate, dal viadotto Montevideo a quello di Ponte San Nicolò, dal viadotto Martincelli (sempre sulla ss47), dal sovrappasso alla ferrovia al Marinaio al ponte sul rio Regnana. «Il degrado dei ponti che si vede all’esterno a volte è superficiale, ma è comunque un indicatore», dice il dirigente, «ma i controlli vanno fatti soprattutto su quello che non si vede, per evitare i problemi strutturali che nascono da tensioni che vanno oltre la resistenza del materiale, come avviene con il sale antighiaccio che corrode le armature».

Il caso Genova. Sul crollo del ponte Morandi a Genova, De Col dice: «Non ho elementi tecnici, quando si arriva a un crollo purtroppo ci sono un insieme di cause, ma il vero nodo è che a volte serve il coraggio di fare scelte forti, chiudere certe strutture anche se l’impatto sulla viabilità può essere problematico. Per il mio ruolo nella Protezione Civile in passato non ho esitato a far demolire un ospedale (Mezzolombardo) e una scuola (il Pertini). Era una questione di sicurezza».













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