Piazza blindata, incassi da 2 mila euro al giorno 

Organizzazione militare e risse per conquistare i luoghi dello spaccio Lo stupefacente nascosto nei passeggini e portato al parco dalle mamme


di Mara Deimichei


TRENTO. Un controllo «militarizzato» di piazza Dante, le case usate per lo stoccaggio della droga e per custodire una serra di marijuana e le donne con il ruolo di «trasportatori» perché avevano meno probabilità di essere controllate. Meglio ancora se in gravidanza o accompagnate da bambini nel passeggino. C’è anche tutto questo nell’inchiesta «Bombizona» della squadra mobile con 54 persone coinvolte e fra questi anche profughi. Un’indagine che ha Trento come fulcro ma che è finita fuori provincia toccando quelle di Verona, Vicenza e Ferrara e ha sgomitato una rete di spaccio ben organizzata e in grado di mettere in vendita quasi ogni tipo di stupefacente, dalla marijuana all’hashish, dalla cocaina all’eroina.

Il giro d’affari. Difficile dare un dato certo perché lo spaccio non è un «commercio» con una contabilità fedele. Ma nei sette mesi d’indagine (l’inizio è stato lo scorso anno), sono state verificate centinaia di cessione e il calcolo degli investigatori della squadra mobile fissa fra i 1.500 e i 2.000 il guadagno giornaliero dalla vendita in piazza. Con ordinazioni che venivano fatte tramite telefono. Chiamate molto brevi, linguaggio criptico per cercare di rendere difficile la vita ai poliziotti. E poi il continuo cambio di tessere sim per fare una sorta di barriera contro le intercettazioni.

Stile militare e risse. Gli arrestati stranieri (ci sono coinvolti anche quattro trentini nell’indagine, di cui tre Lucio Avi, 53enne di Piné, Mattina Comito, 35 anni di Trento come Sabrina Silvestri, 31enne sono stati colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere) in base alle informazioni che sono state raccolte dalla polizia, erano riusciti ad imporsi sulla piazza trentina. E in maniera decisa visto che i luoghi dello spaccio erano già coperti dalle bande nordafricane. Come hanno fatto? Con un’organizzazione che pare quasi militare e passando anche per risse: l’estate scorsa è stata segnata da aggressioni in serie nella zona di piazza Dante che vedeva contrapposti i nordafricani ai centroafricani. Ed erano riusciti a conquistare il loro spazio (piazza Dante in primis ma c’erano anche gli spazi davanti alle stazioni ferroviarie di Ala, Rovereto e Mezzocorona) che presidiavano con un’organizzazione quasi militare. Ogni giorno, sempre in base all’indagine, c’erano fra le 10 e le 15 persone che controllavano il perimetro della piazza. Avvistando così sia le forze dell’ordine che eventuali «concorrenti». E dentro lo spaccio diviso per zona in base allo stupefacente.

In treno senza pagare. Nelle intercettazioni - viene spiegato - appare chiaro che i membri dell’organizzazione avessero degli accorgimenti particolari per spacciare a Trento e in Trentino a causa dei costanti controlli. Da qui la soluzione. I viaggi per portare le dosi venivano fatti via treno. Partenza da Verona la mattina, arrivo in città e spaccio. Poi risalivano in treno, arrivo a Verona, recupero di altre dosi, ripartenza per Trento e spaccio. Viaggio doppio giornaliero sempre con poca droga in modo da evitare l’arresto in caso di controllo. E, da quanto è stato accertato, senza pagare il biglietto. I controlli da parte della polizia avevano già portato in cella alcuni dei soggetti entrati in questa operazione nel corso dei mesi passati, compresi alcuni trasportatori di ovuli (preventivamente ingoiati) fermati durante il viaggio di ritorno dall’Olanda o dalla Germania.

Il ruolo delle donne. Attive anche nella gestione logistica della droga, il ruolo delle donne all’interno dell’organizzazione, è fondamentale. È a loro - secondo la polizia che in questa indagine è stata coordinata dal sostituto procuratore Davide Ognibene - che viene affidato il trasporto dello stupefacente. Capitava che sul treno ci fosse un gruppo di nigeriani, tutti assieme, tutti nello stesso scompartimento, magari un po’ chiassosi, anche forse solo per attirare l’attenzione. Due scompartimenti oltre, una donna, da sola e silenziosa. E con addosso le dosi necessarie per soddisfare le richieste che erano arrivate dai tossicodipendenti della provincia. Meglio ancora, come trasportatori, erano le donne incinta oppure quelle che arrivavano in piazza Dante con un bambino e un passeggino. Ritratto di famiglia felice? No, spacciatore in attesa di cliente. Una copertura che - questa era la speranza - doveva trarre in inganno le forze dell’ordine. Fra le donne anche ex prostitute che avevano abbandonato la strada per lo spaccio: più redditizio e meno pericoloso.

Mutuo soccorso. Il gruppo, a dimostrazione che agiva come un’associazione, aveva anche atteggiamenti solidali. Un esempio? La partecipazione di tutti per pagare le spese legali di quelli che di volta in volta venivano arrestati.

Le case. Il gruppo aveva a disposizione di versi alloggi nel nord Italia, ma c’erano anche alcuni appartamenti utilizzati a Trento. Come quello di due fratelli a Meano che era stato trasformato in una base logistica per lo stoccaggio e il confezionamento dello stupefacente. Nell’indagine sono entrati anche un alloggio a Piedicastello, uno a Mattarello e uno a Melta. Dove, in un’intercapedine era stata ricavata anche una serra per la coltivazione di alcune piante di marijuana.

Accoglienza. Delle 54 persone coinvolte nell’indagine, 23 sono quelle che nel corso degli anni sono passate per il progetto di accoglienza per i richiedenti asilo che è seguito dal Cinformi. Di questi sette vivevano in alloggi «provinciali» (sei alla Brennero di Trento, uno nel b&b di San Lorenzo Dorsino). Due di questi sono stati arrestati, per 3 è scattato il divieto di soggiorno e per due la denuncia.













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