Passerini: «Il Cnca modello solidale da non disperdere» 

Il presidente lascia l’incarico e fa un bilancio: «Cresciuti soprattutto in qualità delle proposte, il successo della Settimana dell’accoglienza ne è la prova»


di Sandra Mattei


TRENTO. Giovedì l’assemblea delle 16 associazioni e cooperative che formano il Cnca (Coordinamento comunità accoglienza) nominerà il successore di Vincenzo Passerini. Massimo riserbo sul nome, anche se il comitato esecutivo formato Mauro Tommasini de La Rete, Sandra Venturelli dell’Ama, Massimo Komatz di Villa San’Ignazio e Michelangelo Marchesi di Progetto 92 hanno già individuato il successore. Vincenzo Passerini, nel congedarsi alla presidenza della federazione regionale del Cnca, ha scritto un lungo messaggio di saluto. Gli abbiamo chiesto di riassumere quanto fatto in questi quattro anni.

Passerini, che bilancio si sente di fare a conclusione del suo mandato?

In questi anni siamo cresciuti sia a livello qualitativo che quantitativo, perché accanto alle realtà presenti (Ama, Apas, Volontarinstrada, Volontarius, Arianna, La Rete, Progetto 92, Punto d’Incontro,Samuele, Villa S. Ignazio) si sono aggiunte Atas, Carpe Diem, Cestro Astalli, coop Arcobaleno, Eliodoro, Fai). Penso che uno dei punti di forza sia stato farci conoscere, attraverso la Settimana dell’accoglienza, arrivata quest’anno alla quarta edizione, attraverso una rete di volontari coinvolti su tutto il territorio regionale, e la comunità ha risposto molto bene. Va incentivato ancora il dialogo tra le associazioni e le cooperative aderenti, perché ci sono delle difficoltà a lavorare insieme. Il nostro ruolo è quello di creare le relazioni, collaborare insieme, interloquire con l’ente pubblico sulle riforme, per proporre iniziative che favoriscano i più deboli. La storia del Cnca è quella di don Ciotti e di don Dante Clauser.

A proposito dei più bisognosi, c’è il rischio che questa rete di aiuto e promozione dei più deboli, tra i quali i richiedenti asilo, vada dispersa con un cambio di indirizzo politico del governo provinciale?

La preoccupazione c’è, visto gli annunci fatti di volere chiudere il Cinformi da parte dei partiti di centrodestra. Eppure il modello di accoglienza in Trentino, con l’inserimento di piccoli gruppi di profughi in varie località, ha funzionato. Ed invece il decreto sicurezza del governo va nella direzione opposta, volendo creare grandi centri di raccolta dei richiedenti asilo, che sono più difficili da gestire e che possono creare molti più problemi di integrazione.

Anche in Trentino c’è stata qualche azione, anche violenta, di contrasto all’arrivo dei profughi, con gli attentati a Soraga, a Lavarone, a San Lorenzo in Banale.

Ma nelle località dove gli operatori delle associazioni hanno lavorato bene, proponendo attività, favorendo la conoscenza dei richiedenti asilo con la popolazione, come a Piné, a Lavarone, si è riusciti a superare la diffidenza iniziale e ci sono esperienze di integrazione molto positive. A Lavarone, ad esempio, le donne ospitate lavorano quasi tutte, ma la stragrande maggioranza dei profughi in Trentino Alto Adige ha un’occupazione, svolge tirocini, segue corsi di italiano, perché è solo creando occasioni di contatto e conoscenza, che si superano le paure. Togliendo gli stranieri dalla strada, si tolgono le condizioni per alimentare la microcriminalità. Ed invece, la direzione del governo è quella opposta: togliendo loro diritti, lavoro, si alimentano pregiudizi e paure. E si presta più il fianco a infiltrazioni malavitose.

Lei rivendica il ruolo al tavolo del welfare, come interlocutore della Provincia. Qual è il suo giudizio?

Al tavolo permanente ci sono Provincia, Consolida, e Federazione della cooperazione. Il nostro compito è quello di fare proposte costruttive ma anche critiche, dove necessarie. Preciso che non siamo allineati a nessun potere, ma nemmeno all’opposizione, quindi abbiamo indipendenza di giudizio e autonomia, in una Provincia come la nostra dove c’è il rischio che il sociale sia una longa manu del potere.













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