il caso

«Omicidio Sabotig, processo da rifare»

Zucchelli, condannato a 30 anni per la morte dell’amica farmacista, ha presentato appello con gli avvocati Bonora e Stolfi



LEDRO. Ivan Zucchelli, l’albergatore altogardesano condannato in primo grado a trent’anni di carcere, per aver ucciso l’amica farmacista Daniela Sabotig, la notte del febbraio 2013, lungo la strada che conduce a Pur, in val di Ledro, ha deciso di presentare appello attraverso i suoi difensori di fiducia, gli avvocati Paolo Bonora e Nicola Stolfi. Quasi cento le pagine che raccolgono le accurate motivazioni dell’appello, nelle quali gli avvocati Bonara e Stolfi prendono a martellate l’impianto accusatorio della Procura e le motivazioni della sentenza di condanna del giudice del tribunale di Rovereto.

«Sono molteplici le ragioni di doglianza verso la sentenza di primo grado», spiegano gli avvocati Bonora e Stolfi. Che partono da un semplice teorema: «I rapporti fra Ivan Zucchelli e Daniela Sabotig erano buoni, normali, fino alla sera prima dell’incidente - scrivono - in autunno lei lo chiama “cucciolotto impegnatissimo”, va trovarlo in febbraio e frequenta con lui la casa e i luoghi della famiglia e della moglie Joanna. Va a trovare i genitori, esce con lui in locali pubblici». Per questo, «perché Ivan avrebbe dovuto volerla ucciderla? Secondo l’imputazione per l’ottenere l’impunità per il reato di truffa commesso nei suoi confronti. I rapporti fra i due erano buoni e non risulta in alcun modo che Daniela volesse denunciarlo». «In una situazione del genere - chiedono gli avvocati Bonora e Stolfi - non si uccide per 250 mila euro».

Per i due difensori, esistono numerosi “omissis” ed errori ricostruttivi, che demolirebbero la premeditazione.

In modo analitico, nell’appello spiegano che «nessuno si è mai preoccupato di indagare ed analizzare le tracce ematiche sul volante e il tipo di lesione frontale riportata dalla Sabotig». Per Zucchelli e i suoi legali si tratta di una «omissione allucinante». Inoltre, «non viene ricostruita alcuna ipotesi alternativa a quella di un incidente stradale, non si dice a Zucchelli come, dove, quando avrebbe ucciso la sua amica. Semplicemente si spigola (commettendo errori fatali), fra le sue affermazioni per sostenere che ha mentito e dunque ucciso».

A livello investigativo, i due legali evidenziano altre lacune. «Non si conservano, repertandoli come era doveroso fare, i pezzi di vetro del finestrino laterale sinistro che dalle foto ingrandite solo grazie ad uno scrupolo (ovvio) di approfondimento difensivo, risultano recare tracce di sangue.

Anche la sentenza non se ne occupa. Non si reperta il berretto intriso di sangue che era all’interno dell’abitacolo della vettura; non si valutano gli occhiali metallici, con tracce ematiche, di Daniela Sabotig; non si ricostruisce in modo realistico il profilo del dirupo dove è precipitata la macchina, dimenticandosi del salto finale di due metri che si trova in fondo alla scarpata». Per questi e molti altri motivi, i due difensori chiedono «di mandare assolto Zucchelli perché i fatti non sussistono», con un nuovo processo e una nuova perizia ingegneristico - cinematica dell’ingegner Mazzoncini, l’esame della moglie dell’imputato e dello stesso Zucchelli.

 













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