Nuovo statuto:  ordine o progetto?

Paolo Collini è stato di parola. Ha dato il via alla riforma dello Statuto dell’Università di Trento. Non sono passati molti anni da quando l’attuale Statuto nacque all’interno di un dibattito vivace,...


di Antonio Scaglia


Paolo Collini è stato di parola. Ha dato il via alla riforma dello Statuto dell’Università di Trento. Non sono passati molti anni da quando l’attuale Statuto nacque all’interno di un dibattito vivace, per non dire assai acceso. Confronto e scontro furono il segnale che l’Ateneo trentino era una fucina intellettuale e politico culturale di ottimo livello. Non pochi docenti, personale tecnico-amministrativo e anche cittadini si sarebbero aspettati una struttura con la quale l’autogoverno universitario avrebbe avuto strada spianata per un nuovo balzo nel futuro, allargando e qualificando in modo sistematico e avanzato gli spazi per confrontarsi e collaborare con atenei nazionali e internazionali di alta qualità. Quest’ultimo obiettivo, in parte, avvenne, nonostante la tipologia dello Statuto di cui l’Università si dotò.

Una tipologia la cui strategia prevalente ebbe quale obiettivo la centralizzazione e la consegna della consolle di programmazione e progettazione dello sviluppo nelle mani del Rettorato e degli organi che ad esso fanno capo. Tutto sommato, lo Statuto fece giungere a tutti un chiaro messaggio di stabilizzazione e di assicurazione che per Unitn iniziava un periodo di stabilizzazione e di tranquillo governo accademico. Senato, Consulta dei Direttori di Dipartimento e dei Centri, elaborazione degli obiettivi, delle azioni e delle strategie programmatiche trovarono quieta e regolata collocazione entro un quadro funzionale complesso, ben controllato che ben poco lasciò a prospettive di creatività.

L’ateneo ha proseguito la traiettoria di elevata qualità che i riconoscimenti dei ranking nazionali e internazionali hanno riconosciuto e riconoscono. È tuttavia da temere che se non scattano fattori che pongano all’Università traguardi anche scientificamente rischiosi nel panorama scientifico accademico, si rischi di vivere prevalentemente sugli allori. Atenei aperti e di avanzata qualità non aspettano riconoscimenti dagli organi ministeriali che recano con sé l’odore e la muffa dell’alta burocrazia statale (anche se l’Università ne dovrebbe sostanzialmente esserne scollata).

L’università si colloca, per sua natura, su frontiere avanzate e non fa da corifeo alle politiche che si accontentano di ordine e sviluppo, fattori che non si esauriscono affatto nel solo benessere materiale e nel tranquillo consenso. Qui si colloca un secondo vischioso e avviluppato limite del primo Statuto, in quanto esso badò bene a non allertare la garanzia dell ordine, con la fibrillazione intellettuale e politica che gli uomini di scienza portano naturalmente con sé. La politica intelligente fa spazio a questi contributi, anche quando, per scelte concrete di governo non le traduce in decisioni. Non tenerne conto, temerli, avversarli e semplicemente negarli è segnale di insipienza politico culturale.

Oggi, Unitn, Unibz e Innsbruck non possono culturalmente lasciar cadere l’esimia occasione di dar vita a un esempio di comune e avanzata strategia universitaria internazionale e plurilinguistica: esse si collocano nel cuore, sul crinale alpino di un’Europa che dal polo accademico aspetta linfa, contributi di conoscenza, dibattito contro le chiusure ai pluralismi; e questo senza negare il contributo alle specificità e alle identità.

Dagli anni ’90 del secolo scorso, quando per una decina d’anni fui docente a Innsbruck, a oggi, si sono allentate molte barriere e si sono aperte impensate disponibilità. Tuttavia, da qui a una collaborazione sistematica, molto ancora ci corre. Non porre tra gli obiettivi dello Statuto di Unitn questa visione ha il sapore di condannarla a una visione ottusa, culturalmente e socialmente superata.















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