«Noi, i convertiti ad un’agricoltura senza la chimica»

I Pisoni producono a Pergolese vino, frutta e ortaggi bio «Sfida vinta, basta monocolture. E ci abbiamo guadagnato»


di Chiara Bert


TRENTO. «Eravamo trascinati da un metodo di coltivare la terra che considera la chimica insostituibile. Invece no, produrre senza fitofarmaci è possibile, e non ci abbiamo rimesso nulla». Stefano Pisoni e suo cugino Marco gestiscono la loro azienda agricola a Pergolese di Lasino. La loro scelta risale agli inizi del 2000. Passaggio dall’agricoltura convenzionale a quella biologica. Vino per l’80%, 80 mila bottiglie l’anno, ma anche mele, kiwi, olio d’oliva e - anche per diletto - patate, e quest’anno, per il Progetto “Farina della valle dei Laghi”, il frumento. Scommessa riuscita.

Pisoni, com’è nata la vostra scelta?

Come contadino ho cercato di tutelare la mia salute e di guardare cosa distribuivo nelle mie campagne, indipendentemente da cosa mi consentivano i protocolli. Ci siamo confrontati con altre aziende biologiche che già esistevano. Vedevamo che riuscivano a produrre a ottimi livelli senza particolari sacrifici.

Cosa vi ha convinti?

Uno dei problemi è che dove si acquistano i prodotti fitosanitari e le campagne promozionali garantivano una sicurezza che in realtà non c’era. Ci sono ricerche a livello europeo che dimostrano come i diserbanti e i concimi chimici portano a problematiche importanti per la salute che vengono un po’ nascoste dalla grande industria farmaceutica. Eravamo trascinati da un metodo che sembrava non avere alternative. La chimica sembrava il bastone insostituibile per fare agricoltura di qualità. I biologici venivano visti come gli alternativi.

Quanto è durata la conversione?

In realtà per cambiare metodo basta un attimo, adottare il nuovo protocollo del biologico. Sicuramente i risultati arrivano dopo qualche anno perché le campagne coltivate con il metodo chimico hanno bisogno di un periodo per disintossicarsi: il protocollo dice almeno tre anni. Poi dipende molto da cosa uno ha fatto nei suoi appezzamenti: c’è chi, soprattutto fuori dal Trentino, ha esagerato con il ddt e ancora oggi trova residui nel terreno.

Soddisfatti?

Molto. I nostri prodotti non hanno più alcun residuo, per questo le nostre mele finiscono nelle mense per bambini.

Come sono cambiati i vostri acquirenti?

All’inizio abbiamo avuto qualche difficoltà con i distributori maggiori, specializzati in un certo tipo di mercato, che non sapevano più come etichettarci nella fase transitoria, la più delicata, quando hai un prodotto biologico e gli altri convenzionali. Adesso la gente è diventata più attenta a cosa mangia e beve, ma una volta era una nicchia molto critica.

E la qualità dei vostri prodotti com’ è cambiata?

Il vino è un prodotto molto interpretabile, il riscontro noi l’abbiamo avuto soprattutto sulla frutta. Alla gente che viene in cantina dico: assaggiate una mela, deve piacervi, al di là di quello che io vi racconto. La certificazione biologica è importante, ma non basta.

Però il biologico costa di più...

Sicuramente costa un po’ di più. Ma sarebbe bello considerare che nell’agricoltura convenzionale si utilizzano concimi chimici che non fanno altro che salificare la pianta, la mettono in una condizione di sete perenne. Per questo la frutta e la verdura che otteniamo è molto più grossa perché la pianta continua ad immagazzinare acqua. Quindi all’apparenza paghiamo meno, ma paghiamo una grande quantità d’acqua. E magari poi il pomodoro non sa di niente.

Bilancio economico: ci avete rimesso qualcosa?

Assolutamente no. Alla lunga ci si guadagna perché si entra in una dimensione di coltivazione molto più semplice.

Come?

Se non lo mortifichi, il terreno, che è il nostro capitale, garantisce prestazioni migliori. Oggi in agricoltura la chimica ci garantisce di curare la malattia senza aver indagato le cause. Nel biologico l’antiparassitario che per noi conta di più è la preparazione, saperne di malattie. E cominciare a portare un po’ di biodiversità nelle aziende. Perché uno dei problemi è la monocoltura che permette una maggior specializzazione delle malattie. Invece le malattie sono uno strumento di controllo della natura. Un esempio: dove facevamo fatica a fare viticoltura, abbiamo piantato altro.

Cosa pensa delle distanze fissate dalla Provincia per i pesticidi? Troppo blande o comunque un passo avanti?

Serve un equilibrio, ma ancora più importante è che i contadini si preoccupino di cosa mettono dentro i loro atomizzatori. Siamo noi a doverci informare e scopriremo che le differenze sono abissali.

Voi avete i pesticidi buoni?

Nel biologico usiamo prodotti tutti di origine naturale ma anche in natura ci possono essere principi molto tossici (dal rame agli insetticidi derivati da piante). La particolarità è che sono sostanze sistemiche, che non entrano nella pianta e quindi non inquinano frutta e verdura.

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