«Mariti violenti? Si riconoscono così» 

Il Caso della settimana. L’identikit stilato dalla Fondazione Famiglia Materna che ha avviato dei corsi di recupero per gli uomini “maltrattanti”. Sono in genere italiani, spesso padri, con una vita sociale fragile e che tendono a “normalizzare” la violenza


Luca Petermaier


Trento. Parli di liti in famiglia e maltrattamenti e subito pensi alle donne: «Come tutelarle?». In realtà è un approccio se non sbagliato quanto meno parziale. Perché se dentro una coppia una delle parti sovrasta l’altra (con minacce, botte o abusi) il problema da risolvere non riguarda chi subisce le violenze ma chi le fa.

Ne sono convinti anche alla Fondazione Famiglia Materna di Rovereto che da tanti anni si occupa di offrire protezione alle donne maltrattate dai partner. In termini numerici Famiglia Materna gestisce il 25% delle donne che in Trentino cercano protezione e la direttrice Anna Michelini conferma: «Inutile negarlo: c’è un incremento delle donne che cercano aiuto. Questo non vuol dire che ci siano più maltrattamenti, ma semplicemente che chi subisce violenza oggi ha più coraggio e occasioni per venire allo scoperto».

Famiglia Materna è stata anche una delle prime realtà del settore a capire che il fenomeno dei maltrattamenti in famiglia andava affrontato anche dal punto di vista maschile ed è per questo che - dopo una fase di progetti pilota - dal 2015 è stato avviato il progetto «CambiaMenti». Gli uomini presi in carico finora sono stati 109 e i risultati sono confortanti: «Abbiamo avuto in questi anni pochissimi casi di recidiva».

Ma come si riconosce un uomo violento? Qual è l’identikit che dovrebbe mettere in guardia una donna? Secondo Famiglia Materna il “maltrattante che vive in Trentino” è prevalentemente italiano (65% dei casi), è padre (92%) e ha un’occupazione fissa (75%). Inoltre nel 54% dei casi presi in esame ha usato violenza grave e continuativa anche con il coinvolgimento dei figli. Si tratta di uomini che fuori dall’ambito domestico spesso conducono una vita “normale”. C’è una trasversalità rispetto ad età, lavoro, condizione socio economica e istruzione, ma il maltrattante tipo vive in un contesto sociale fragile, con poche relazioni positive e uno stato di forte isolamento. Infine possono aver vissuto esperienze di violenza da bambini - assistita o diretta - ma più in generale hanno patito figure di padri assenti.

Anche le caratteristiche psicologiche sono state “tipizzate” dalla Fondazione: il maltrattante tipo “normalizza” la violenza (la giustifica o la banalizza); tende poi a trasferire le responsabilità delle azioni che commette (“lei sa che io non mi controllo, lei sa che quella cosa mi fa arrabbiare, lo fa apposta”); soffre di una evidente incapacità di gestire il conflitto e spesso si vede come vittima. Infine è molto spiccato l’aspetto culturale legato ai diritti/privilegi dell’uomo rispetto alla donna: («lei mi risponde... lei mi attacca.. lei non fa quello che dico io...»).

Il progetto di sostegno agli uomini violenti insegna loro (attraverso 28 incontri obbligatori) a definire la violenza (non solo fisica ma anche verbale, psicologica ed economica); assumere la responsabilità rispetto ai comportamenti violenti; riconoscere le emozioni negative (ad esempio la rabbia); apprendere tecniche di controllo della rabbia e strategie per prevenire comportamenti violenti; riflettere sul rapporto uomo-donna nella cultura di riferimento e sui modelli identitari del maschile.

Infine viene anche previsto il cosiddetto «contatto partner»: le donne che hanno subito la violenza vengono contattate telefonicamente ogni 3 mesi durante il percorso del maltrattante e dopo 6 e 12 mesi dalla conclusione del trattamento.

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