«Ma la montagna non è una Mecca» 

Grisotto (Parco Paneveggio): «Giusto individuare i limiti, sbagliato farne un luogo intoccabile riservato a pochi eletti»



TRENTO. «È necessario che in montagna il “limite” diventi un valore, anche nel modo di raccontare le esperienze che si possono fare in alta quota, ma senza che per questo la montagna diventi una Mecca per pochi eletti, intoccabile, spesso con disprezzo per chi la pensa diversamente». Anche il Parco naturale Paneveggio e Pale di San Martino - con un intervento del Presidente Silvio Grisotto - prende posizione nel dibattito avviato dal Trentino sui grandi eventi in montagna. Su questo il parco è allineato alla linea prudente del parco Adamello Brenta, della Fondazione Dolomiti e della Sat (a cui abbiamo dato spazio nei giorni scorsi). E la presa di distanza dalla “montagna intoccabile” è corente con la posizione che il Parco ha all’interno del progetto Translagorai, assieme agli enti locali, con l’obiettivo di mettere mano ai sentieri del trekking e ristrutturare una serie di malghe e altre strutture perché possano servire come posto tappa per gli escursionisti.

Ma ecco l’intervento del presidente del Parco, Silvio Grisotto: «La montagna tutta non può e non deve essere percepita come un luogo ove tutto è possibile, in nome dello sviluppo e del business turistico, dove tutti possono soddisfare le proprie più recondite necessità di superamento del “limite”, anche con attività che nulla hanno a che fare con l’essenza stessa della montagna, le sue tradizioni e le sue unicità. È necessario che il “limite” diventi un valore: serve legare il superamento del limite all’emozione, al sentirsi parte di qualcosa di speciale ed unico, come sono le nostre montagne, e non al superamento del limite fisico».

Secondo Grisotto è anche una questione ci comunicazione: «Una grande responsabilità va attribuita ai messaggi che, spesso, le attività pubblicitarie e promozionali danno relativamente alle attività in montagna, fatta passare come distributore gratuito di “adrenalina” di omologazione urbana piuttosto che come luogo di riflessione, di fatica, di storia, di tradizioni millenarie, in cui entrare se non in punta di piedi (o si sci) almeno con la consapevolezza, la sensibilità ed il tatto con cui, ciascuno di noi, si prende cura della propria casa, della propria famiglia e dei propri figli….come un buon padre di famiglia».

«Al tempo stesso, però, credo sia sbagliato anche percepire la montagna come una Mecca per pochi eletti, intoccabile, ove soddisfare la propria necessità di silenzio (o solitudine) ed il proprio egocentrismo, prescindendo, spesso con disprezzo, da chi la pensa diversamente e vuole passarci qualche ora o giornata di semplice svago in compagnia degli amici più cari. La passione per la montagna può esplicitarsi in mille modi: la cosa importante è che questi modi riescano a far emergere dal nostro io le emozioni e le sensazioni che solo un’Enrosadira sulle Pale di San Martino, osservata in sobrietà e silenzio, sa trasmettere. Sulla questione dei concerti in quota la mia posizione è perfettamente in linea con quella espressa in questi giorni dal Parco Adamello Brenta, dalla Fondazione Unesco e dalla Sat: assiepare a 2000-3000 metri in poche migliaia di metri quadrati migliaia di persone, molto spesso nemmeno abbastanza “sobrie” da rendersi conto di quali siano gli effetti del loro passaggio, costruire grandi strutture temporanee per palchi ed utilizzare amplificazioni e luci da rave party, non credo possa essere considerato un modello interessante (se non economicamente) di turismo sostenibile. Per certi versi anche i concerti dei Suoni delle Dolomiti, seppur concettualmente e culturalmente diversi dagli show dei Dj in alta quota possono talvolta rappresentare un motivo di preoccupazione se non adeguatamente gestiti nelle tempistiche, nei flussi e nei volumi: ricordo la folla al concerto di Vinicio Capossela al cospetto del Vajolet. Qui non è un problema di quale sia il genere musicale più adatto alla montagna, ma di riflessione profonda su quali siano i valori della montagna stessa che vogliamo trasmettere alle generazioni future».













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