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Le storie italiane di Eleonora Odorizzi

La rivana progettista di relazioni e pioniera del nuovo turismo (con Italian Stories)


di Paolo Mantovan


Eleonora Odorizzi già lo capiva da bambina che avrebbe fatto la progettista. Non sapeva che si chiamasse così, «progettista», ma quando alle medie per andare tutti in gita organizzò recita e lotteria coinvolgendo i negozianti di Riva, beh, non serviva sapere il termine: lei era già una «progettista».

Eleonora Odorizzi, classe 1973, non ha più cambiato strada. E di strada, poi, ne ha fatta tanta. Lei ora ha messo insieme le eccellenze dell’artigianato italiano, con un “progetto” (ricordatevi bene questo termine: “progetto”) che è riuscito a sbocciare e a prender vita dentro il mondo digitale: “Italian Stories”. Eleonora dopo il liceo classico a Riva è andata a Venezia e si è laureata in architettura passando da Berlino, dove ha conosciuto Andrea Miserocchi, divenuto poi suo marito nonché partner professionale. Architettura sì, ma non fa l’architetto secondo la concezione tradizionale. «Io ho puntato fin da subito sul design e sulla comunicazione. Credo che non si possa più essere specialisti a senso unico, ma che sia necessario muoversi su più livelli. Siamo in un mondo frammentato e complesso: i saperi, i linguaggi e le discipline si toccano e si intrecciano. È per questo che serve un progetto». Ok, c’è la complessità. Ma c’è sempre stata, no? «E infatti io ho sempre costruito relazioni lavorando su più piani, fin da piccola, quando partecipavo al “club degli animali” o collaboravo a dei giornalini. Ma ora c’è una frammentazione superiore rispetto ad anni fa». I primi passi nel mondo del lavoro Eleonora li ha fatti dentro alcuni studi professionali. «E ho subito capito che lavorare alle dipendenze di qualcuno non faceva per me».

Così Eleonora Odorizzi ha puntato su quella inclinazione forgiata dalla formazione: fare la progettista. Progettista di opere, di percorsi, di immagine. «Non perché ho 300 capacità, ma perché mi piace mettere insieme una strategia e un percorso. Sono fatta così: ogni cosa deve avere un senso: non sopporto se non ce l’ha». Ecco, vedi? C’è proprio una vocazione... Eleonora ha uno studio di design e comunicazione da diversi anni insieme al marito. «Poi svolgo anche attività di formatrice: collaboro con la Bicocca e con la Fondazione Cuoa». Ed è (principalmente) mamma, di due ragazzi.

Eleonora Odorizzi progetta negozi, hotel, intesi come attività, percorso, comunicazione. In che senso, scusi? «Ci sono determinati codici di immagini che parlano di te». I siti web? «Sì, anche i social media. Ma soprattutto c’è lo spazio, il tuo luogo fisico che parla di te, di chi sei. Come ne parla? Sei sicuro che sia coerente? Che immagine offri? E che servizi dai? A seconda della persona con cui vuoi parlare devi sapere quale linguaggio usi». Accidenti, un lavoro da vero “curatore d’immagine”. «Passerei dal termine immagine a “immaginario”. Anzi, direi che è molto di più: è un lavoro sull’identità. Perché dietro c’è una storia». Ah, ecco: è lo storytelling, lo “storytelling d’impresa, d’azienda, d’imprenditore, d’albergo, di luogo... «È vero, storytelling è un termine che va molto di moda e che ora dà pure un po’ noia. Ma in realtà le storie sono dei paradigmi: ci servono per spiegare le cose, così come lo sono stati i miti per gli antichi, le parabole per i credenti, le favole per i bambini».

E così nasce “Italian Stories” questo racconto digitale e insieme creazione di relazione con l’artigianato artistico italiano: è chiaro il percorso “spirituale”, ma quando è scoccata la scintilla? «C’è stato un momento qualche anno fa, quando sembrava che si corresse il pericolo di un crac dell’Italia, quando arrivò il governo Monti, che io e Andrea ci siamo chiesti: cosa possiamo fare? E abbiamo pensato che l’Italia tutti vengono a vederla per le sue città, per i suoi monumenti. E i monumenti chi li fa, chi li ha fatti? Gli artigiani, ovviamente, con la loro storia secolare, le scuole di laboratori che di anno in anno sedimentavano ed elaboravano tecniche del costruire, del cesellare, dello scolpire. Ci sono ancora adesso artigiani che sanno fare i colori di Giotto, lo sai?». Quindi è sorto in voi una sorta di “che fare?” e avete guardato all’artigianato italiano. «Esatto. Abbiamo pensato all’interesse sull’artigianato, a far conoscere queste storie “uniche” di artigiani, e a costruire una community attraverso i mezzi digitali e social. Perché ora che c’è la crisi del prodotto, c’è però una ripresa straordinaria dei soggetti, delle conoscenze e delle competenze». Già: italian stories.

Così si va sul sito e si sfogliano le diverse storie da accarezzare: si prenota un workshop e si va a trovare proprio quell’artigiano (quello che racconta la sua storia in Italian Stories), poi magari ti piazzi in un albergo diffuso, dentro un borgo storico d’Italia, e assapori un turismo dell’incontro, della relazione e dell’attività. La nuova frontiera del turismo.

Ora con Italian Stories si è creata una rete, pardon, un network dove si può entrare in rapporto con 150 esperienze di artigianato artistico. C’è tantissima ceramica, tanto legno, e poi vetreria, ma anche realtà legate al cibo, al molino, alle caramelle. «Oh, penso agli amarelli di Calabria. Ma ci sono anche artigiani di qui». Come la famiglia Navarini di Trento, ramai d’eccellenza. O come il pipaio Bertram Safferling di Bolzano. «Ci sono davvero delle straordinarie capacità, che dimostrano quanta forza ha il nostro artigianato, la nostra eccellenza italiana. Penso ad esempio a degli artigiani di Gubbio che accettarono l’incarico di ricostruire una copia dello studiolo di Guidobaldo da Montefeltro: uno studiolo che era un ambiente di palazzo ducale coperto di tarsie che venne smantellato e venduto al Metropolitan Museum of New York dove ora si trova. Ebbene, lo studiolo è stato ricostruito solo grazie a foto e documenti dell’epoca sui materiali usati: e la copia è stata così perfetta che di lì a poco si sono manifestate delle crepe negli stessi punti in cui si erano mostrate sull’originale».

Ma Italian Stories non può vivere soltanto dell’immaginazione e della forza progettuale di Eleonora Odorizzi e di Andrea Miserocchi, giusto? «Beh, ovviamente abbiamo alcuni storyfinder che trovano gli artigiani che meritano un posto in Italian Stories». Storyfinder? Si può dire: cacciatori di storie? «Certo che si può» sorride Eleonora. Che poi estrae il bel libro “Mani”, una sorta di antologia sulle esperienze dell’artigianato raccolte in questi anni. Un libro? Ma non è un progetto digitale, tutto internettiano? «Abbiamo capito che c’è bisogno anche di carta. C’è un ritorno della carta, lo sai vero?». Certo, lo sappiamo (yeah). La carta mette grande ordine. Però il web va veloce. E così il portale Airbnb, vero colosso del turismo delle camere e degli alloggi, ora si sta lanciando verso la “vendita di esperienze”. «Appunto - conferma Eleonora Odorizzi - Noi siamo in contatto con loro: è in corso una trattativa. Loro sono un colosso, capiamoci, ma noi modestamente siamo già Italian Stories! Ahaha» ride di gusto Eleonora.

E il turismo delle esperienze, che va oltre il panorama, la spiaggia o la tela, ed entra in contatto con la storia e con l’identità, ha una pioniera in Trentino.













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