La uccide, poi confessa a Rovereto

Alessandro Persico, ingegnere a Maranello: «Un raptus, ho accoltellato Barbara»


Giuliano Lott


ROVERETO. Parcheggiata la sua Bmw in via Sighele, Alessandro Persico, ingegnere elettronico della Ferrari, ha salito le scalette del commissariato e ha chiesto di parlare con il dirigente: «Devo costituirmi. Ho ucciso una donna». A morire è stata Barbara Cuppini, 36 anni, responsabile marketing Italia per il marchio del Cavallino, massacrata di coltellate. Ai poliziotti roveretani Alessandro Persico ha raccontato tutto, senza reticenze e con dovizia di particolari.

Quando si è presentato in commissariato era tranquillo, di una calma quasi irreale. Anzi, sulle prime, gli agenti pensavano di avere a che fare con un mitomane. Poi, quando i carabinieri di Modena hanno davvero ritrovato il corpo della donna nella villetta di Serramazzoni, si sono dovuti arrendere all'evidenza e prendere le affermazioni dell'ingegnere con la massima serietà. Dopo l'omicidio, compiuto nella notte tra sabato e domenica, Persico si è ripulito, cambiato gli abiti e si è messo in viaggio. Uscito di casa «mentre albeggiava», come ha raccontato agli inquirenti, ha imboccato la Modena-Brennero ed è uscito al casello di Rovereto nord. Da qui ha proseguito verso Lavarone, dove domenica ha affittato una stanza in un garnì. «Sapevo sarei stato arrestato, così ho deciso di trascorrere le mie ultime ore di libertà in montagna». Oltre ventiquattr'ore durante le quali Persico ha persino cercato di far sparire i due coltelli usati per uccidere la sua copmpagna, gettandoli tra la vegetazione nei boschi dei Virti, attorno Lavarone.

Persico e Barbara Cuppini si erano conosciuti in Ferrari. Lui, originario di Lecce ma proveniente da Firenze e da circa due anni separato dalla compagna che nel 2006 gli aveva dato una figlia, ci lavorava già come quadro, alla direzione tecnica auto sportive. Lei invece, carpigiana di madre somala, era entrata in azienda in tempi più recenti, all'ufficio marketing. Un vero colpo di fortuna, dopo aver lavorato in modo discontinuo qua e là, che dava finalmente giustizia alla sua preparazione. Barbara, laureata, parlava tre lingue ed era responsabile dell'organizzazione eventi. Pare che i due avessero avviato una relazione da due o tre mesi, ma il rapporto, stando agli amici, era "complicato". In ogni caso, venerdì lei compiva gli anni e aveva accettato l'invito di Persico, che dopo una cena a Sassuolo in un ristorante l'aveva accompagnata nella propria casa di Serramazzoni, sull'appennino tosco-emiliano, a una manciata di chilometri da Maranello. Una serata tranquilla, assicura Persico, senza alcuna discussione. Hanno guardato la tv insieme un po', poi lei si è coricata. Lui invece è rimasto sveglio e all'improvviso ha sentito l'impulso di uccidere. Una spinta irresistibile che lo ha portato prima in cucina, dove ha impugnato un pelaverdure, appuntito e ben affilato, con la lama lunga una dozzina di centimetri, poi dalla camera ha preso un pugnale, con una lama di circa 20 centimetri, ed ha colpito Barbara. «Tre coltellate» assicura l'ingegnere, ma il referto dei necrofori parla di dieci ferite all'addome e altre tre tra la spalla e il braccio, forse inferte mentre lei cercava di divincolarsi nell'ultimo tentativo di reazione.

Tutto è accaduto con rapidità. «Appena l'ho colpita ha mormorato "Aiuto, aiuto. Aiutami". Poi più nulla». I carabinieri, costretti a sfondare il portoncino d'ingresso per entrare nella villetta, l'hanno ritrovata riversa sul pianerottolo. Forse si è trascinata fino a lì negli ultimi istanti di vita, o forse vi è stata abbandonata dal suo assassino in un fallimentare tentativo di trasportare il corpo altrove. Su questo aspetto Persico non ha ancora detto nulla di chiaro, ma si tratta di dettagli. Terribili, ma dettagli, che nulla modificano nell'imputazione: omicidio volontario. Persico è detenuto in via Prati, in attesa di essere trasferito nel carcere di Modena.

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