«La mia cucina svanita col Mercatone Uno» 

La testimonianza. La storia di una pensionata di Trento che ha versato una caparra di 441 euro, ma i mobili acquistati non sono mai arrivati. Speranze di rimborso ridotte al minimo. «Il negozio era pieno di gente, mai avrei potuto immaginare»


Fabio Peterlongo


Trento. La nuova cucina tanto sognata, svanita nel fallimento del Mercatone Uno. La caparra di 441 euro già versata e chissà mai cosa tornerà indietro.

È la storia di una pensionata trentina, Flora (il nome è di fantasia), una delle migliaia di consumatori che in tutta Italia sono rimasti travolti dal fallimento della catena di arredamento per la casa che ha causato il licenziamento di 1800 lavoratori e la chiusura di tutti i punti vendita, compreso quello trentino di San Michele all'Adige.

Flora ha pagato 441 euro di caparra per una cucina che non le è mai stata consegnata. Sono 20mila gli acquirenti che hanno pagato e mai ricevuto la merce acquistata, a quanto sostiene l'associazione consumatori Adiconsum. E il percorso per essere rimborsati è complesso e di difficile successo, in quanto fisco, creditori e dipendenti hanno la precedenza sulla clientela in termini di rimborsi.

Flora, pensionata del settore scolastico, si era recata nel negozio di San Michele all'Adige per l'acquisto di una cucina. «Volevo comperare una piccola cucina di 1,80 metri, con forno a gas, angolo cottura, lavello, cappa e qualche mobile, in offerta - ci racconta - ho regolarmente versato l'anticipo di 441 euro, su un importo totale di 600 euro. Avrebbero dovuto consegnarmela entro la metà di questo mese. E invece è successo quello che è successo».

Una brutta sorpresa per la signora, che naturalmente non si aspettava una simile piega degli eventi: «Il negozio era pieno di gente, mai mi sarei aspettata che da un giorno all’altro chiudesse. Chissà quanti ora si trovano in una situazione simile. Io mi ritengo fortunata perché avevo comperato anche un tavolo con delle sedie, che fortunatamente ho ricevuto». Il servizio clienti non risponde nemmeno al telefono, aggiunge Flora: «Da parte dell'azienda c'è stato un silenzio assoluto. Chiamandoli al telefono parte un disco registrato e nessuno risponde».

La pensionata si è quindi rivolta ai sindacati e alle associazioni per la tutela dei consumatori, che le hanno dato poche speranze: «Dicono che l'azienda deve rimborsare prima il fisco, poi i creditori, poi i dipendenti e solo alla fine della catena noi clienti. C'è la possibilità di procedere per vie legali, ma sono costi importanti, chi me lo fa fare?». I figli della signora hanno cercato di incoraggiarla: «Mi hanno detto, "Mamma, sono cose che succedono!". Insomma - conclude amareggiata - a questo punto è quasi inutile girare il coltello nella piaga».















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