«La malattia, il dolore e la mia scelta  di come finire la vita» 

Mauro Marcantoni all’incontro sui 40 anni di Nuova Sinistra si racconta e prende posizione sul tema dell’eutanasia



TRENTO. Intervenire in pubblico, per fare partecipe una platea di politici di una scelta molto personale ed intima, non è da tutti. Lo ha fatto Mauro Marcantoni, già dirigente provinciale ed ex direttore della Trentino School of Management, nonché consigliere comunale della Dc, che sabato ha affrontato il tema del fine vita, legato alla sua vicenda, durante il dibattito organizzato da Fabio Valcanover dei Radicali per ricordare i 40 anni dalla nascita di Nuova Sinistra. Marcantoni si era già espresso su questi temi in alcuni editoriali pubblicati sul Trentino, come quello dell’11 novembre 2017 in concomitanza della discussione in parlamento sul biotestamento. Ecco il suo intervento, toccante e di rara lucidità.

«Ho pensato di intervenire come utente del pensiero radicale, cioè come persona che di fronte al pensiero radicale ha avuto modo di interagire e di averne in qualche misura vicinanza e conforto, quindi è proprio una testimonianza diretta la mia. Non porto pensieri particolari, non porto ragionamenti storici, politici o altro, solo quello che io ho vissuto come persona di fronte a questa offerta culturale, politica che è stato il pensiero radicale.

E quale è stato il punto di congiunzione tra la mia esperienza e diciamo il pensiero radicale ? Sta nei diritti civili e in particolare in una zona che sta intorno alla vita e al senso della vita. Partendo dal presupposto che io ritengo in modo molto convinto, intimamente convinto, che la vita sia forse l'unico dei beni strettamente individuali. E' una dimensione in cui è la persona che può giocarsi, quando ovviamente ha a che fare con la propria vita.

La vita, un bene personale. Quindi non è una proprietà collettiva, non è un bene pubblico, per me almeno, non è un bene religioso, è un fatto strettamente personale e come tale va trattato nella sua interezza, nella sua complessità, perché ha a che fare con tante dimensioni, affettive, sociali, ambientali, politiche anche ovviamente.

Quindi intorno a questo ambito ho trovato i punti di connessione tra quello che sono io come persona e quello che è stato il mio modo di vivere, di interagire con l'opera culturale e politica e militante dei radicali. Lo ho detto anche pubblicamente molte volte, soprattutto quando c'è stata quella fase molto accesa legata alle ultime vicende del fine vita. Ho preso la parola pubblicamente, di solito con reazioni piuttosto stizzite, che insomma hanno denotato che è ancora molto forte, molto presente diciamo, questa idea che si possa imporre a qualcun altro la propria visione della vita su temi così sensibili così personali come la concezione della vita, di cosa da senso alla vita. Per cogliere meglio il perché di questa mia esposizione anche emotiva di fronte a questi temi devo fare qualche accenno di natura personale.

25 interventi chirurgici. Nella mia esperienza ho vissuto momenti difficili, importanti, di natura sanitaria: ho fatto un conto, ho avuto più 25 importanti ricoveri ospedalieri, di cui cinque all'estero, per varie ragioni. Ho conosciuto il dolore, cosa vuol dire viverlo, e cosa vuol dire ricorrere ai farmaci che non risolvono, per lo meno nella mia esperienza, attenuano, abbruttiscono ma non risolvono, i problemi anche psicologici: io ho vissuto oltre che problemi cardiaci, l'ultimo un trapianto di cuore, l'ictus che mi ha tolto la parola, l'emorragia cerebrale che mi ha disperso, mi ha fatto sentire un frammento perso nel mondo... problemi di natura esistenziale, io sono molto esposto alla dimensione esistenziale, non sono una persona che ha la solidità dal punto di vista di capire che senso ha il mio essere al mondo.

E quindi è chiaro che l'idea di aver di fronte la vita come un obbligo mi ha sempre messo in grande disagio, certo la vita è bellissima, ma può essere anche una condanna e quindi l'idea che questa condanna sia in qualche modo inevitabile mi dava grande angoscia, mi dà grande angoscia. Ho cercato conforto, pensiero e credo che i radicali,... la Luca Coscioni, l'associazione che mi ha aperto anche delle strade, la Svizzera.

I contatti con Dignitas. C'è una associazione, Dignitas: uno si iscrive non ha una risposta evidentemente ma una via d'uscita, fredda, tecnica... questionari, atti notarili, un po' di soldi da parte che non si sa mai... E quindi è evidente che il pensiero radicale è stato per me un punto di riferimento per attingere in qualche misura la consapevolezza che comunque qualcun altro condivideva questa esigenza di trovare vie alternative alla mia visione, ed è chiaro che parlo della mia visione della vita, e delle condizioni alle quali io, e non altri, ritengo che la vita meriti di essere vissuta.

Se mi guardo indietro credo di aver trovato in questo confronto, tutto via internet, perché non ho mai incontrato nessuno, ma una presenza che mi ha in qualche modo dato una motivazione personale di essere qui, soprattutto personale, perché non è stata banale né per me né per le persone che hanno condiviso questi pensieri, parlo della famiglia mia e degli amici più stretti.

Quindi è chiaro che quando Fabio mi ha chiesto se intervenivo ho detto si, per dire semplicemente quello che è stato per me il conforto che io ho avuto nel ritenere che la vita non è una sorta di demanio che mi porta a guardare il pubblico come un padrone né una sorta di bene ecclesiale che mi fa dipendere da un pensiero importante, come è quello della Chiesa, ma che sostanzialmente non è il mio».

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