«L’Europa dia risposta ai bisogni dei cittadini»

Draghi, appello agli Stati: «Redistribuire la ricchezza e rilanciare la crescita» «Vincere le diffidenze reciproche e riuscire insieme, anziché fallire da soli»


di Chiara Bert


TRENTO. «Dobbiamo riscoprire lo spirito che ha permesso a pochi grandi leader, in condizioni ben più difficili di quelle di oggi, di vincere le diffidenze reciproche e riuscire insieme anziché fallire da soli». Il presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi chiude così il suo discorso al Teatro Sociale, dove ieri ha ricevuto il premio internazionale «Alcide Degasperi: costruttori d'’Europa». Un appello e un monito, quello del capo dei banchieri europei, pronunciato con la consapevolezza della responsabilità che pesa sulle sue spalle. Un intervento molto «politico», che non nasconde le preoccupazioni per i problemi e le divisioni che oggi lacerano l’Europa, dalla crisi economica ai profughi. La sua è una strigliata ai governi nazionali che parte da lontano, dai motivi che hanno consentito che l’Europa nascesse e rappresentasse la risposta ai bisogni dei cittadini. «L’Europa può essere ancora la risposta?», chiede l’ex governatore di Bankitalia. Il suo è «un sì senza condizioni», perché «se le sfide hanno portata continentale - avverte - agire esclusivamente sul piano nazionale non basta. Se hanno respiro mondiale, è la collaborazione tra i suoi membri che rende forte la voce europea», si parli di immigrazione, sicurezza, difesa, cambiamento climatico.

Il ritorno a Trento. Draghi torna a Trento per la prima volta dopo 40 anni dalla sua esperienza di giovane docente di economia all’Università, chiamato da Romano Prodi e Beniamino Andreatta: erano gli anni della violenza politica e del terrorismo, ma anche - gli ricorda il vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi - «dell’inflazione a doppia cifra e dell’inizio della grande corsa del debito pubblico» che sarebbe diventato «il» problema dell’Italia e di molti altri Stati europei. Quarant’anni dopo l’Europa si dibatte tra deflazione e austerità, e al presidente Bce - il banchiere del whatever it takes pronunciato nel 2012, pronti a salvare l’euro a qualunque costo di fronte alla crisi del debito sovrano - guardano i tanti che ancora credono in un processo di integrazione europea che sembra sbandare ad ogni curva.

La risposta è l’Europa. Draghi sembra saperlo, e il suo intervento di ieri al Sociale - davanti all’ex presidente della Repubblica Napolitano e a una platea di autorità (politici vecchi e attuali, mezzo consiglio provinciale, parlamentari, sindaci, il presidente altoatesino Kompatscher) - ha offerto un’analisi senza sconti delle difficoltà e delle resistenze in atto, ma ha anche dato una prospettiva di come superarle. Il presidente della Bce ha reso omaggio a Degasperi e ai «padri del progetto europeo», «capaci di mettere in campo un progetto legittimato dal consenso popolare e sostenuto dai governi». I risultati sono arrivati: pace, miglioramento del tenore di vita, il mercato unico «scelta dei valori rappresentati da una società libera e aperta», ma anche le libertà politiche per le quali oggi «flussi imponenti di rifugiati e di migranti cercano il loro futuro nell’Unione europea».

Avanti insieme. Cos’ha messo in crisi quel processo, fino ad arrivare alla Brexit e ai muri che si alzano, talvolta reali (Ungheria), altre volte minacciati (Austria)? Draghi traccia un elenco delle cause: la più grave crisi economica del dopoguerra, la disoccupazione, uno stato sociale i cui margini di azione si restringono per la bassa crescita e i vincoli di finanza pubblica, imponenti flussi migratori che rimettono in discussione contratti sociali da tempo accettati e risvegliano insicurezza. «Se la globalizzazione ha riscattato dalla povertà miliardi di persone - ammonisce - nelle economie avanzate il reddito reale della parte più svantaggiata della popolazione è rimasto ai livelli di qualche decina di anni fa». Ecco perché «il senso di abbandono provato da molti non deve sorprendere». Ecco perché, incalza Draghi, «l’impianto dell’integrazione europea è saldo ma occorre orientare la direzione di questo processo verso una risposta più efficace e diretta ai cittadini, ai loro bisogni e timori, e meno concentrata sulle costruzioni istituzionali». Occorre «concentrarsi su interventi che portano risultati tangibili»: portare a termine le iniziative già in corso, «perché fermarsi a metà cammino è la scelta più pericolosa», portare fino in fondo il mercato unico ponendo attenzione «agli aspetti redistributivi dell’integrazione, verso coloro che più ne hanno pagato il prezzo», «ascoltare l’appello delle vittime in società costruite sul perseguimento della ricchezza e del potere». Come? Con azioni concrete: equità della tassazione, fondo europeo di assicurazione contro la disoccupazione, fondi per la riqualificazione professionale. Servono - ammonisce ancora - politiche che mettano in moto la crescita, riducano la disoccupazione, proteggano i più deboli. Azioni che spettano in primis ai governi nazionali, ma da cui l’Europa - avverte Draghi - non può chiamarsi fuori.

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