L'intervista

"Il nuovo vescovo? I tempi possono anche allungarsi"

Parla monsignor Viviani:"I nomi non li ho visti, ve lo assicuro"


di Danilo Fenner


TRENTO. Poco più di un anno fa, esattamente il 20 ottobre del 2014, si tenne a Trento – come ormai è consuetudine da una decina d'anni – l'inaugurazione della Stat, la scuola accademica di teologia dell'Arcidiocesi. A tenere la prolusione di apertura fu un certo monsignor Angelo Vincenzo Zani, arcivescovo di Volturno (una diocesi soppressa: la sua è una nomina “titolare”, non effettiva). L'attuale segretario della Congregazione per l'educazione cattolica, una delle nove congregazioni in cui si articola la Curia romana. Ma anche il nome sempre più sussurrato in questi giorni, lo abbiamo anticipato ieri sul Trentino, come possibile successore a Luigi Bressan sullo scranno arcivescovile di Trento.

Una coincidenza, certo. Ma monsignor Zani – da non confondere con il noto biblista trentino, pure lui monsignore, che di nome però fa Lorenzo – non si è limitato solo a quella visita. L'alto prelato bresciano è uno che il Trentino lo conosce. E ha frequentazioni importanti. Ad esempio con monsignor Giulio Viviani, direttore della Stat e grande cerimoniere delle liturgie presiedute dal vescovo: uno con una sfilza di cariche e di ruoli, fra presenti e passati, da fare impressione.

“Conosco abbastanza bene Vincenzo Zani” – ci conferma Viviani. Lo vedrebbe bene come nuovo inquilino dell'Arcivescovado in piazza Fiera? Viviani sorride e allarga le braccia: “Sì, certo. Mi sembrerebbe una persona degnissima di quel ruolo”. Pausa. “Come tanti altri, del resto.”

Monsignor Viviani non ama molto il toto-vescovo. E' uomo ben avvezzo alla diplomazia. Sa come dribblare le insidie dei media. Bazzeccole, verrebbe da dire, per uno che ha gestito le liturgie e perfino la sicurezza di due Papi, Woityla e Ratzinger. Era lui che spuntava spesso in tv alle spalle di Giovanni Paolo II, responsabile del complesso meccanismo liturgico in occasione delle grandi celebrazioni. E come cappellano del corpo di gendarmeria del Vaticano era sempre lui il responsabile della sicurezza papale. Il che significava – specie con un papa come Woityla – essere spedito in tutto il mondo a passare al setaccio luoghi, persone e situazioni prima di ogni visita del pontefice.

Un lavoro delicatissimo, di grande responsabilità. Viviani ha saputo gestirlo al meglio – tanto da meritarsi la stima e gli elogi dei pontefici – dal marzo del 1997 al 2010, anno in cui ha fatto ritorno nel suo Trentino, lui che è nato a Pinzolo 59 anni fa. Oggi è prelato di punta della curia trentina. Facile pensare che il suo ruolo non si limiti (si fa per dire) all'organizzazione delle liturgie in Duomo e alla direzione della scuola di teologia. La sua estrema conoscenza degli ambienti vaticani, fin nei meandri meno accessibili agli esterni, fa di lui una pedina importante per tenere i collegamenti con Roma. Un ruolo di trait d'union che, in queste settimane di attesa per l'arrivo del nuovo vescovo, si fa ancora più prezioso.

Se qualcuno ha potuto sbirciare nella “terna” di nomi che il nunzio apostolico ha consegnato al Papa, questo potrebbe essere proprio monsignor Viviani. Tanto vale chiederglielo subito, così ci leviamo il pensiero. “No, ve l'assicuro – risponde - non l'ho proprio vista quella lista di nomi. E non penso che qui in Diocesi abbia potuto vederla qualcun altro. In linea teorica, è tutto coperto da segreto. Solo il nunzio apostolico conosce i nomi”. E che ci dice di don Lucio Cilia, che ieri sul Trentino abbiamo indicato come un altro “vescovabile” assieme a monsignor Zani? “Ovviamente lo conosco, da rettore del seminario di Venezia ha operato molto bene. Sarebbe un bel nome anche lui”.

Inutile cercare di scucirgli di più.

Viviani ci riceve in uno studio del seminario maggiore di via Tre Novembre. Fuori piove. Sospira, guardando l'orologio. Ha poco tempo, è appena tornato da una trasferta impegnativa e deve già ripartire per Padova. La vocazione del globe-trotter non l'ha mai smessa. Lo sorregge una forte tempra. Chi lo conosce bene sa che dietro al sorriso pacioso si cela un carattere deciso. L'uomo giusto per gestire senza traumi il delicato passaggio di consegne tra il vescovo uscente e quello entrante.

“Un passaggio che oggi, rispetto al passato, si svolge senza più inter-regni, da quando vige la regola che un vescovo a 75 anni deve rassegnare le dimissioni. A mio parere è un bene, non tutti hanno la fortuna di arrivarci vispi e sani come il nostro Bressan”.

Dunque, che succederà nei prossimi giorni?

“Diciamo pure anche settimane. O mesi. Sui tempi della nuova nomina non sappiamo nulla. Faccio un esempio: se il prescelto dal Papa dovesse rinunciare, caso non tanto infrequente, si dovrebbe rifare tutto daccapo. Avviare nuove consultazioni, rifare una terna di nomi. Il Papa deve sempre avere in mano tre nomi. Potrebbero passare mesi. E non ne saremmo neppure informati: per tutelare la privacy delle persone coinvolte, l'intera procedura è secretata”.

Negli ambienti romani si vocifera di una successione, per così dire, dilazionata: subito la comunicazione del prescelto e insediamento fra qualche mese.

“No, non è possibile. La legge vaticana parla chiaro: se il prescelto è già vescovo deve trascorrere un periodo massimo consentito di due mesi dalla nomina all'insediamento. Tre mesi, se occorre procedere anche all'ordinazione episcopale”.

Come avviene la comunicazione della nomina?

“Il nunzio apostolico scrive una lettera al nuovo eletto, al vescovo uscente e al vescovo della diocesi di assegnazione, se è diversa rispetto a quella di origine del prescelto. Solitamente, il vescovo uscente convoca immediatamente i consultori e alcuni membri della curia, in cattedrale o in arcivescovado, per dare loro la comunicazione. Stessa cosa avviene nella diocesi di origine del nuovo eletto. La comunicazione ufficiale è data invece dal Vaticano, durante la consueta conferenza stampa di mezzogiorno”.

Che succede fra la comunicazione della nomina e l'arrivo del nuovo vescovo?

“Il vescovo uscente (che avrà per sempre la carica di Vescovo Emerito), diventa amministratore apostolico della sua diocesi, per quel periodo massimo di due o tre mesi. Dovrà limitarsi a gestire l'ordinaria amministrazione. Ma è sempre vescovo a tutti gli effetti, in tutte le celebrazioni e gli appuntamenti, sia liturgici che esterni. Certo, prassi vuole che non si proceda a nomine particolari, che vengono lasciate al nuovo vescovo”.

Rispetto a 17 anni fa, quando subito dopo la morte di Giovanni Maria Sartori la comunità di fedeli trentini si mobilitò in veglie di preghiera e incontri di riflessione sulla figura del nuovo vescovo, oggi si respira un'atmosfera molto più rilassata. Quasi distaccata...

“Oggi il passaggio di consegne è meno traumatico. E c'è la consapevolezza che il nome del vescovo è importante, ma quello che conta di più è naturalmente la Chiesa, l'affidarsi al Papa”.

Diplomazia, tanta diplomazia nelle parole di monsignor Viviani. Proviamo a dirlo noi, al suo posto: questa serenità non potrebbe essere il sintomo di una certa indifferenza rispetto alla vita vissuta della Chiesa, l'ulteriore conferma di un processo di allontanamento della gente rispetto al fare comunità?

“Può darsi. Ma quella che vedo in giro è soprattutto una grande fiducia in questo papa”.













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