Il nostro carnevale alpino che cerca di resistere 

Soraperra: «I giovani riscoprono il gusto delle maschere tradizionali di Ladini,  Mocheni, Val di Fiemme: battaglia d’identità contro lo svuotamento del turismo»


di Paolo Mantovan


SEGUE DALLA PRIMA PAGINA. Ma che carnevale è questo, Claus Soraperra?

Quello della mascherèda fascena, che si chiude il martedì grasso con il Brujèr Carnascèr. Nella profonda Val di Fassa è una tradizione importante.

È una cosa vera? O è un prodotto per i turisti?

Ahi giornalista, che cosa mi chiede? La risposta è duplice. È ancora vera ma viene strumentalizzata per il turismo. Provi ad andare su internet. Scriva: “carnevale val di fassa”: cosa vede?

Vedo indirizzi di pagine su manifestazioni di carnevale della Val di Fassa.

Sì, ma i primi indirizzi che trova a che siti la mandano?

Ah, certo: siti dell’Apt, fassa.com, viagginews, certo, certo.

Vede? Ma anche se clicca sul carnevale di Sappada o del Perù noterà che se ne sono appropriati i siti che promuovono il turismo. Farà fatica a trovare le pagine dei musei.

Quindi c’è un problema generale per i carnevali tradizionali dell’area alpina, fatti di maschere di legno, di teatro all’aperto...

Il problema dei Ladini (per stare alla mia terra) è che continuano a mantenere vive queste tradizioni ma si tratta di un prodotto che rischia di non farci sopravvivere, come identità ladina, perché si fa per divertire altri e quindi si svuota, perde l’anima.

È falso?

No. Non lo è. Le ho detto subito che rimane spesso una cosa vera. C’è il rischio che possa svuotarsi di senso. Ma ci sono degli elementi così originali che è possibile garantire ancora a lungo la sopravvivenza della tradizione.

Per esempio?

Beh, il fassano, che è montanaro e ci tiene a mantenere il primato, si rende conto che ogni cosa, per restare unica e originale ha bisogno di stratagemmi. E allora ecco le maschere di legno costruite a mano, oppure per i Krampus, gli uomini-caproni, a Pozza di Fassa ecco che devi avere un costume tipico. Non è merce che trovi nei negozi e allora la tradizione, ancorata a questi oggetti, resiste.

Fino a quando non arriva Amazon...

Già, prima o poi succederà. Ma forse si può resistere a lungo perché alla fine i veri costumi li trovi solo dentro la comunità, con una sarta o un sarto che te li confezionano. Se diventa un soprammobile vincerà Amazon.

Quindi la ripresentazione di queste maschere è un modo per tenere viva l’identità.

Una parte d’identità: è quello che sto cercando di spiegarle, giornalista! Ci sono associazioni di “puristi” che tengono reti di collegamento tra loro, anziani che fanno costumi e maschere secondo le regole...

Il mercato potrebbe starsene alla larga allora...

Potrebbe. Sempre che qualcuno non trovi il modo per rendere anche questi degli oggetti di mercato. Però, per il momento, il carnevale fassano è saldamente nelle mani dei Ladini. A Penia c’è un gruppo fierissimo di fare il carnevale solo a carnevale (senza esibizione estiva per i turisti), con farse popolari che durano tre quarti d’ora in lingua ladina. Loro si barricano dentro questa naturalezza ma poi le Aziende di promozione turistica li sbattono sui siti internet...

Sfruttamento a fini turistici: tutto diventa denaro...

Diciamo che non li mettono sul mercato però. Ripeto: non è merce da mercato. Le Apt (anche di altre valli, penso alla Val di Fiemme o alla Val di Non) trovano queste notizie importanti per la costruzione dell’identità da mettere on line.

Un’identità originale da presentare al turista.

Sì, la loro idea è questa.

Come per gli indigeni di “qualche” isola...

Sì, però alla fine è proprio la costruzione dell’identità che ora interessa alcune associazioni.

Interessante.

Fino al 1980 io ricordo bene che andavo alle “Mascherèdes” con mio papà e vedevo un signore che stava all’ingresso e lasciava entrare solo i fassani. Se c’erano dei turisti li bloccava.

Li bloccava?

Sì, “sono cose nostre” diceva. Perché i turisti infatti non capirebbero il gioco dello spettacolo. Lì c’è un buffone che racconta tutte le malefatte del paese.

Cose attuali? Satira di paese?

Guardi, dieci giorni fa sono andato e il “bufon” era preparatissimo e aveva una rima lunghissima tutta per me.

Se le è sentite?

Sì.

E c’è ancora il custode all’entrata?

No. All’epoca ricordo che c’era stato anche uno scontro con alcuni turisti. Ora no. Può entrare chiunque. Ma alla fine viene solo gente del paese.

C’è una “rinascita” del carnevale alpino?

Sì. Sono nicchie probabilmente. Però negli ultimi dieci anni sono state fondate nuove associazioni, c’è un ritorno.

Come se lo spiega?

Credo sia una risposta all’eccesso di turismo che ha tolto certi valori, che ha rovinato il tessuto sociale di altri tempi. Certo, siamo usciti dalla povertà e siamo entrati nel benessere, ma talmente tanto che abbiamo perso un po’ anche noi stessi e la nostra identità.

E il carnevale è un modo per riappropriarsi di qualcosa.

Sono riti che coinvolgono la comunità. Guardi che l’associazione dei Krampus di Pozza di Fassa è richiestissima in tutta l’area del Tirolo, perché è costituita da albergatori e artigiani che fanno le cose per bene, hanno dei costumi strepitosi. E si tratta di associazioni, a Canazei e a Pozza, che sono in mano a giovani di venti-ventiquattro-ventotto anni.

Ci sono dentro quelle radici che in tanti cercano?

Sono tradizioni che vanno dalla Stiria al Tirolo, a Pergine. È qualcosa che riguarda l’identità e che coinvolge i giovani: puntano a questo revival per dire che sono diversi e per difendersi dal turismo.

Ma quanta gente partecipa?

Al carnevale nostro, quello della nostra gente, con i Bufon, i Laché e i Marascons, una volta c’erano 5 maschere e tutto attorno cento persone. Adesso ci saranno dieci maschere e un pubblico di trenta persone.

Si è rovesciato il rapporto: una volta era importante essere spettatore, adesso si vuol essere maschera.

È vero. Ha ragione lei (stavolta). Una volta era importantissimo il pubblico, era il termometro delle cose.

A Valfloriana, in Val di Fiemme, sabato c’è stato un bell’incontro di maschere tradizionali.

È stata una cosa bellissima, glielo assicuro. Ero là. C’era la festa dei Matòci e degli Arlecchini, classica di Valfloriana, alla quale sono stati invitati i gruppi di Alba e Penia della Val di Fassa, della Val dei Mocheni, e anche di Saint-Rhémy-en-Bosses della Val d’Aosta.

I gruppi del carnevale alpino si fanno forza fra loro.

Sì, è stato un bell’incontro. Carnevale, intendiamoci. Però...















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