Il governo coi 5 stelle agita i Democratici 

Tonini e Olivieri: «Giusto trattare». Il segretario Muzio: «Alleanza innaturale, accordo solo con il sì della nostra base»


di Chiara Bert


TRENTO. Mentre l’ex ministro Carlo Calenda minaccia già di lasciare il Pd se ci fosse l’accordo di governo con i 5 Stelle, e mentre Matteo Renzi a Firenze sonda la piazza, anche in Trentino l’ipotesi di un’alleanza agita i Democratici, dai vertici alla base.

Un big di fede renziana, ma autonomo nel pensiero come Giorgio Tonini, ieri su Twitter cinguettava: «Per quel (poco) che conta, sono totalmente d’accordo con Piero Fassino», l’ex sindaco di Torino che ieri in un’intervista a La Stampa ha aperto al governo con il M5S: «Gli insulti del passato? Dobbiamo fare un governo non una retrospettiva - ha detto - e Renzi sbaglierebbe a dire no». Un altro ex parlamentare, Gigi Olivieri, membro del coordinamento provinciale, è tra coloro che sollecitano una discussione sul tema, già nel coordinamento del partito convocato per oggi: «Lo scenario è cambiato, il M5S ha chiuso il forno con la Lega e l’unica cosa che un partito serio deve fare è sedersi al tavolo e verificare se le compatibilità di programma sono tali per un accordo di governo da sottoporre a un referendum tra gli iscritti». «Non è una situazione normale - ammette Olivieri - i 5 Stelle sono stati i più acerrimi detrattori delle politiche del Pd, ma siamo in un sistema proporzionale e questa è un’opportunità per noi di uscire dall’angolo». Ma tra i renziani trentini - e non solo loro - sono in molti coloro che di un governo con Di Maio & co non vogliono sentir parlare. Alla direzione nazionale a Roma, nei prossimi giorni, parteciperanno Elisa Filippi e - come invitato - il segretario Muzio. La renziana era stata tra coloro che - all’indomani delle elezioni, rispondeva su Twitter #senzadime all’ipotesi di un Pd al governo con i 5 Stelle: «Il Pd ha perso, il centrosinistra ha perso, il nostro posto è l'opposizione. L’ultima cosa da fare è tradire la parola degli elettori».

Il segretario Giuliano Muzio ammette che nella base del partito c’è «disorientamento, che non significa contrarietà». «Posso capirlo, disorientato lo sono anch’io», confessa. E dunque? «Dunque - spiega - la nostra con i 5 Stelle non è un’alleanza naturale, e perché si possa pensare che funzioni devono esserci a mio avviso tre presupposti». Il primo, per Muzio, è «spiegare bene che questa alleanza non sarebbe mai il frutto di un accordo politico improvvisato ma la risposta a un’emergenza democratica, un governo di salute pubblica». Secondo: no ai pastrocchi, se accordo dev’esserci dovrà essere su «pochi e chiari punti di convergenza, che io vedrei soprattutto su una piattaforma sociale e sul lavoro». Terzo, ma non ultimo per importanza: «Prima di dire sì a un governo con il M5S dovremmo sottoporre un eventuale accordo alla nostra base, qualcosa che assomigli a quello che la Spd ha fatto in Germania prima di dire sì al nuovo governo con Frau Merkel. Altrimenti ilo nostro elettorato ce la farà pagare». La difficoltà, ragiona il segretario, sta in una distanza profonda tra i due interlocutori: «I 5 Stelle sono un’organizzazione più aziendale che politica, ragionano in termini di un servizio da offrire. Noi ci muoviamo sulla base di una storia e di un quadro di valori. È questa distanza che mi preoccupa».













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