Il cubo da record della «prof» di matematica

Con la sua struttura in origami Serena Cicalò, del Rosmini, ha battuto il Muse. E il resto del mondo


di Luca Marognoli


TRENTO. Giovedì all’ora di pranzo un falegname smonterà la finestra di casa della professoressa di matematica Serena Cicalò, in viale Verona. Poi una gru preleverà e calerà al suolo un grande cubo di origami composto da 160 mila altri piccoli cubi, un “mostro” di carta con un lato i 101,5 centimetri e un peso di 25 chili.

Il sogno di una matematica appassionata di origami non poteva che avere la forma della celebre “Spugna di Menger”, un frattale tridimensionale, per i non addetti ai lavori un oggetto geometrico fatto di moduli che ripetono se stessi su scale diverse. Un sogno diventato quasi un’ossessione, poi una corsa contro il tempo e infine un record mondiale. Un sogno “al cubo” che ha richiesto due anni di lavoro per trasformarsi in realtà. Ma anche «pazzia, tanta pazienza e una mente matematica». Come quella della professoressa Cicalò, cagliaritana innamorata di Trento, dove è venuta 11 anni fa per il dottorato ed è tornata, dopo una parentesi in Spagna, per insegnare (dal 2012) matematica e fisica al Liceo Rosmini, oltre che nel carcere di Spini di Gardolo. «Io sono una matematica e un'origamista: ho unito le due passioni. Il concetto è che la matematica sia una materia brutta e per pochi e l'origami un giochino per bambini. Ho dimostrato che entrambe le cose non sono vere».

La spugna di Menger - racconta «è un frattale molto interessante dal punto di vista matematico, che ho visto la prima volta a un convegno sull'origami, quando un collega di Firenze aveva realizzato il livello 2. Aveva raccontato che il livello 3 era stato realizzato solo da un'origamista californiana, Janine Mosley, e detto chiaramente che il livello 4 non si poteva fare perché sarebbe collassato per colpa del peso. L'idea mi aveva affascinato e mi ero informata sul web». Poi il genio ha fatto la differenza. Con delle strisce di carta usate nelle lavanderie, la professoressa Cicalò ha sviluppato una tecnica originale, grazie alla quale le strutture di quel tipo riuscivano molto più solide. E anche più piccole: «Ho realizzato un cubo di livello 3 con lato di 33 centimetri e peso di 1,2 chili, contro il metro e mezzo e gli 80 chili di quello della Mosley. A quel punto mi sono detta: perché non provare a fare il livello 4? Così mi sono armata di pazienza. Un altro origamista ha sponsorizzato l'acquisto delle quasi 500 rotelle di carta di tre colori. E nell'agosto 2015 ho iniziato a piegare e poi a montare...».

Un progetto - ammette con il senno di poi la professoressa - «da delirio, perché la mia tecnica non era come quella precedente dove i pezzi erano tutti uguali e poi si assemblavano. Io usavo pezzi di 9 misure diverse che dipendevano dal numero di cubi adiacenti nelle tre direzioni. Se avessi sbagliato una virgola, avrei perso mesi di lavoro… Tutto doveva essere nella mia testa in ogni momento».

Serena Cicalò aveva preventivavo due anni «facendo tutto di nascosto: non volevo che mi fregassero l'idea». Finché nel marzo scorso il Muse ha lanciato la sfida di un cubo livello 4 da realizzare in gruppo: «Lo consideravano un problema di forza lavoro e avevano pensato di coinvolgere molte persone», dice la docente. «Ma hanno realizzato che non era fattibile: non avrebbe retto il peso. Hanno quindi deciso di fare il modello 3, che io però avevo già ultimato, unica in Italia. A quel punto mi sono dovuta tutelare, uscendo allo scoperto. Ho esibito le prove e spiegato che stavo lavorando al 4 da mesi. E ho anche dovuto accelerare i tempi: in estate non ho fatto un giorno di vacanza: lavoravo 15 ore, era diventata come una droga. Anche in Sardegna, in 10 giorni ho piegato 3 chilometri e mezzo di carta. Rinunciando al mare. Volevo finire entro l'8 di dicembre per portare il frattale al convegno italiano di origami, una vetrina alla quale partecipa anche un centinaio di stranieri. E il mio cubo è nato esattamente il 13 novembre alle 11.57». Un momento quasi commovente per la professoressa: «Non volevo finire l'ultima riga, perché per me è stata una simbiosi e mi spaventava il fatto che finisse tutto. Ma avevo organizzato un rinfresco per le quattro del pomeriggio e dovevo fare la spesa... Quando ho messo l'ultimo pezzetto non dico che ho pianto, ma ho sentito tutta la stanchezza e tutta la felicità che mi scorreva addosso. Ho avuto la sensazione di avere fatto un capolavoro».

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