vitalizi

I consiglieri provinciali si ribellano contro le nuove pensioni: troppe tasse

I liberi professionisti temono di essere penalizzati rispetto ai colleghi dipendenti e bloccano i versamenti ai fondi


di Chiara Bert


TRENTO. Sono passati due anni esatti dall'approvazione della contestata riforma dei vitalizi, attualmente appesa all'esito dei ricorsi di oltre 60 ex consiglieri che contestano l'obbligo di restituire parte degli anticipi d'oro incassati. Ed ecco, a due anni di distanza, mentre ancora si attende di sapere quale sarà il giudice deputato a decidere sui ricorsi, riesplodere il caso delle pensioni dei consiglieri regionali, con i liberi professionisti sulle barricate perché ritengono di essere penalizzati dalla tassazione rispetto ai loro colleghi lavoratori dipendenti.

Il neopresidente del consiglio Thomas Widmann (Svp), eletto il 30 maggio scorso al posto di Chiara Avanzo nella staffetta di metà legislatura Trento-Bolzano, non ha perso tempo e ha convocato i capigruppo per lunedì. All'ordine del giorno: contribuzione previdenziale in capo ai consiglieri regionali. All'incontro interverrà il consulente dell'Ufficio di presidenza Giorgio Demattè e si discuterà di un'ipotesi di modificare l'articolo 5 della legge 5 del 2014. La famosa riforma, appunto. Per i consiglieri eletti a partire dalla XV legislatura (2013) la legge 5 ha introdotto un nuovo regime pensionistico: addio vitalizio, si è passati ad un sistema di previdenza complementare composto da una quota di contribuzione previdenziale obbligatoria a carico dei consiglieri (l'8,8% dell'indennità consiliare, circa 860 euro al mese) e da una quota (il 24,20%) a carico del consiglio regionale, da versare entrambe al fondo di previdenza complementare indicato dal consigliere. La quota a carico del consiglio si riduce fino al 12% nel caso in cui il consigliere sia un dipendente (pubblico o privato), a seconda dei contributi figurativi già versati dal suo ente previdenziale di appartenenza.

Proprio il ddl sulle pensioni dei nuovi consiglieri era stato oggetto di una battaglia finale prima dell'approvazione della legge, con la Svp che ne aveva chiesto lo stralcio. Alla fine si era arrivati a una formulazione di mediazione che due anni dopo è però già nel mirino. Si scopre infatti che la quota a carico del consiglio (circa 140 mila euro nell'arco di una legislatura) non è netta - come pensavano molti consiglieri - bensì lorda, e dunque i consiglieri dovranno pagarci (vista la loro indennità) il 43% di tasse. Apriti o cielo. I liberi professionisti, (avvocati, imprenditori, professionisti ), che possono versare a proprio carico una quota al proprio fondo previdenziale per assicurarsi la futura pensione, sono insorti. «I dipendenti pubblici - è l'accusa - sono favoriti perché le loro aziende versano comunque i contributi e alla fine si ritroveranno con la pensione, senza grosse quote tassate. Noi liberi professionisti invece, che spesso abbiamo dovuto chiudere o affidare ad altri gli studi, siamo penalizzati». Qualcuno ha fatto due calcoli e scoperto che alla fine incasserebbe 70 mila euro in meno di un collega con lavoro dipendente. Risultato: lo stallo. Le quote che il consiglio dovrebbe versare ai fondi di previdenza complementare sono al momento bloccate. La Ragioneria ha chiesto di poter versare, ma ci sono consiglieri che non intendono indicare il fondo per paura di dover poi pagare le tasse su soldi che non potranno utilizzare fino all'età della pensione (66 anni, ma anticipabile fino a 60 con decurtazioni). I consulenti ingaggiati dall'Ufficio di presidenza hanno escluso che si possa sbloccare la situazione senza modificare la legge. Ma a tutti è chiaro che rimettere mano alla riforma significherebbe scoperchiare un vaso di Pandora con esiti del tutto imprevedibili.













Scuola & Ricerca

In primo piano