Dellai & Durnwalder quel fronte comune spezzato da Monti

Quattordici anni di collaborazione nel nome dell’Autonomia che hanno ridisegnato gli equilibri fra Trento e Bolzano


di Paolo Morando


TRENTO. Dellai e Durnwalder, Lorenzo e Luis, LD & LD. Quando il 23 novembre del 1998, all’indomani delle elezioni regionali, le urne sancirono il successo della Civica Margherita dell’ex sindaco di Trento, in pochi potevano prevedere che quel risultato avrebbe segnato la politica trentina e altoatesina per quasi un quindicennio. Bolzano usciva allora da un periodo burrascoso, con la nascita della Libera Università nell’autunno del ’97 a bilanciare solo in parte un biennio di polemiche quotidiane sui problemi di sempre: toponomastica, monumento alla Vittoria, grazia ai terroristi. Tanto che all’inizio del ’96, nei giorni delle tremende imprese di Ferdinand Gamper, il serial killer di Merano, i carabinieri chiedevano ai cronisti di non calcare la mano sull’ipotesi di moventi etnici.

Come se non bastasse arrivarono poi le elezioni politiche dell’aprile di quello stesso ’96, quelle della vittoria dell’Ulivo di Prodi: che nei collegi “italiani” di Bolzano videro invece l’affermazione di Franco Frattini e della senatrice Adriana Pasquali. Con la ciliegina sulla torta del seggio ottenuto da Pietro Mitolo nel proporzionale. E poi l’Euregio. Per contrastare la quale il 24 novembre del 1995 era arrivato a Trento addirittura il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: per dire che «se non vi può essere concetto di unità che mortifichi l’autonomia, così non vi può essere contrabbando di valori separatisti mascherati appunto da sogni di autonomia». Un altolà a un progetto allora troppo smaccatamente pantirolese, «anticipatore e immaturo», che per il Capo dello Stato avrebbe potuto «soffocare» il Trentino. Lo stesso Scalfaro che un anno e mezzo dopo, nel marzo del 1997, a Bolzano non dimenticherà di sottolineare che «questa è terra dello Stato italiano». Lo farà al termine di una visita di due giorni in un Alto Adige appena segnato da un’altra vicenda dirompente: l’assassinio del consigliere regionale Christian Waldner, già astro del movimento giovanile Svp, poi fondatore dei Freiheitlichen “haideriani”, infine vicino a posizioni leghiste. Ad ucciderlo Peter Paul Rainer, responsabile culturale degli Schützen. Con il quale lo stesso Waldner, su incarico addirittura di Roberto Maroni, di lì a poco avrebbe dovuto organizzare in Alto Adige lo pseudoreferendum del Carroccio sull’indipendenza della Padania.

Il Trentino, non ancora uscito dalla transizione del dopo Malossini, veniva invece da un quinquennio di presidenza autonomista, la giunta di Carlo Andreotti. Con la Regione guidata da Tarcisio Grandi e Franz Pahl e retta da una fragile maggioranza Svp-Patt-ex democristiani, poi allargata ai Ds. Un Trentino sfibrato dalla frammentazione, con equilibri politici via via travolti da un quadro nazionale sempre più segnato dal bipolarismo. Un Trentino, soprattutto, al traino di un Alto Adige ogni giorno più potente (l’Università, l’aeroporto, la nuova Fiera) e senza problemi di governabilità, con un Landeshauptmann da 100 mila e rotte preferenze. Lo sbarco di Dellai in piazza Dante, di un amministratore cioè dal forte spessore politico, avrà l’effetto di mutare gli equilibri, riportando al tavolo delle trattative regionali un Trentino più “pesante”. Quanto meno con la voglia di contrastare un Durnwalder da anni in assenza di possibili avversari. E per questo “sognato”, come governatore, anche da una larga fetta di trentini.

Non che tutto sia filato sempre liscio. Basta pensare alla presidenza della Società Autobrennero e alla inamovibilità, per tanti anni, di Ferdinand Willeit. Anche se, ironia della sorte, quando finalmente Dellai riuscì a far passare (anzi, a riaffermare) la linea della guida trentina, le disavventure giudiziarie di Silvano Grisenti fecero il resto. Così come sulla Regione: le baruffe tra Margherita Cogo e Roland Atz segnarono la legislatura 1998-2003 molto più di qualsiasi progetto comune fra Trento e Bolzano. Ma d’altra parte sta proprio nella debolezza delle istituzioni transprovinciali il terreno su cui negli ultimi anni la leadership Dellai-Durnwalder si è affermata abbattendo ogni ostacolo. A partire proprio dalla Regione, cartina di tornasole per decenni dello stato di salute dei rapporti fra Trentino e Alto Adige. Un po’ l’uovo di Colombo, la “staffetta” tra LD & LD avviata a partire dal 2003, senza bisogno di modifiche statutarie e interminabili dibattiti in Consiglio e fuori: esempio come pochi calzante delle virtù dei due, il pragmatismo di “re Luis” e la visione politica del “principe Lorenzo”. E poi l’Euregio, certo favorita dal mutare del quadro nazionale e comunitario, ma trasformata in cornice ora sì istituzionale di progetti concreti, concretissimi, come il tunnel di base del Brennero. Una doppia leadership cementatasi negli ultimi anni in chiave anti romana, dapprima contro Berlusconi: ed ecco allora l’Accordo di Milano, definito per mesi nei dettagli da Dellai e siglato in gran segreto, informandone Consigli e opinione pubblica solo a cose fatte. E poi Monti: il balletto delle impugnazioni reciproche davanti alla Consulta, lo sdegno dei due presidenti per le ingerenze del governo sui conti delle Autonomie, un fronte comune mai così saldo. Fino a poche settimane fa.

«Le nostre strade sono ormai divise», ha detto in questi giorni Durnwalder a proposito della più recente collocazione “montiana” di Dellai. E sostiene ora il professor Francesco Palermo, giurista bolzanino profondo conoscitore delle vicende di Trento e Bolzano, che «stiamo assistendo effettivamente alla chiusura di una fase, ma ciò era inevitabile: il loro ciclo politico nelle due Province è in chiusura, perché Dellai non era ricandidabile e Durnwalder ha deciso di lasciare. A questo punto viene meno il collante anche personale tra i due ed emergono i punti di contrasto». E a chi si chiedesse, dopo 14 anni di partnership politica strategica nel nome dell’Autonomia, chi tra i due LD sia oggi il più forte, ecco la risposta di Palermo: «Se è vero che Dellai potrebbe diventare ministro delle Regioni, allora significa che ha vinto lui ed è più debole Durnwalder, che con la Svp ha preferito esporsi con una politica di contrapposizione netta al governo Monti». Chi l’avrebbe detto, in quel novembre del 1998, che poteva finire così?

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