L'INTERVISTADON LINO ZATELLI

«Chiesa senza preti? Può anche essere una benedizione»

Le parrocchie trentine. L’esperienza di San Carlo, in Clarina, “affidata” a 39 giovani: un successo. «Se non riusciamo a comunicare le chiese si svuotano. Guai a diventare il bancomat dei sacramenti»


Danilo Fenner


Trento. Una Chiesa senza preti: non è una questione recentissima, se ne parla già dagli anni Sessanta e la cosa è finita anche dentro a qualche teologia del nord Europa. Eresie? Mica tanto. C’è una famosa omelia di Papa Francesco a Santa Marta dell’aprile 2014 nella quale Bergoglio ricordava come la chiesa giapponese per più di duecento anni avesse camminato perfettamente senza sacerdoti. E se lo dice lui.

A onor del vero è quanto sostiene anche don Lino Zatelli, parroco di San Carlo a Trento, l’eterno “ragazzaccio” della chiesa trentina.

Don Lino usa un aggettivo che pare uno scioglilingua: «dobbiamo declericalizzarci», dice. E spiega: «C’è ancora troppo odore di sacrestia». Poi, siccome è uno abituato a passare dalle parole ai fatti (anche troppo, afferma qualcuno in Curia), don Lino ha affidato la sua parrocchia a 39 giovani.

Affidata, in che senso?

«Nel senso che fanno quasi tutto loro, dall’animazione alla trasmissione della fede. Sono di età compresa fra i 19 e 27 anni e sono favolosi. Naturalmente sono stati formati adeguatamente, non sono stati mandati allo sbaraglio. Con me hanno un incontro mensile di verifica, ma il parroco, cioè il sottoscritto, per il resto sta a osservare».

Il parroco dunque come guida spirituale. O come “regista”. Quali vantaggi ha portato questo esperimento?

«La trasmissione della fede nella comunità è tornata a essere qualcosa di vivo, di comprensibile, di forte. A partire anche dal linguaggio utilizzato. Ho visto che in alcune parrocchie ci sono catechisti anche di settant’anni. Che ne sanno loro di come ci si rivolge ai ragazzi? Se non riusciamo a comunicare efficacemente, il che significa anche con le nostre azioni, non riusciamo a trasmettere la fede. E le chiese si svuotano. E’ molto semplice. Invece, grazie anche ai nostri splendidi giovani, qui in San Carlo in questo ultimo anno ho visto finalmente una chiesa rivitalizzata».

Perchè, in genere la chiesa trentina com’è?

«La situazione è molto difficile, lo sappiamo. Ma non mi pare che ci sia davvero l’intenzione di puntare molto sui laici. La comunità cristiana si fonda sul Vangelo, mica sui preti. E in questo ho apprezzato le parole del vicario don Marco Saiani, nell’intervista del Trentino di ieri».

Un dato è certo: mancano parroci. Che fare? Importarli da fuori?

«Mi fa un po’ ridere quando si parla di “campagna acquisti” dei parroci. Non è detto che sia un male che il loro numero si sia così ridotto. Io vedo che laddove i preti non ci sono, la Chiesa si vivacizza. Noi preti non possiamo diventare erogatori di servizi. Io non voglio essere il prete dei funerali. Ci sono miei colleghi che ormai li vedi solo lì. Col risultato che così diventano l’immagine stessa della morte».

Ma le liturgie vanno pur celebrate e i sacramenti impartiti.

«Sì, ma non possiamo trasformarci in bancomat dei sacramenti. Quando vedo parrocchie che sfornano comunioni a date prestabilite, in serie, tutti in gruppone, storco il naso. Io preferisco fare un percorso individuale con le famiglie e portare i ragazzi alla prima comunione quando si sentono pronti, non tutti insieme per forza. La naja è finita, dai!».

Nelle Messe del sabato e della domenica nella chiesa di San Carlo, in Clarina, passano fino a 1500 persone. Cosa attira qui la gente?

«Non il prete. Qui si trova poco clericalismo. La gente è attratta da un annuncio di fede che si fa esperienza concreta, che passa attraverso la testimonianza di un’intera comunità. Alla gente devi dare fiducia».

Che ne pensa della comunità presbiterale di Trento nord, dove andranno a convivere tre sacerdoti?

«Penso che dobbiamo finirla di considerare solo i preti e i rapporti all’interno del clero. Se il soggetto è il prete, il complemento oggetto è la comunità. In un certo senso la comunità è la nostra moglie. E’ così: io mi sento sposato con la mia comunità. Con tutte quelle in cui sono stato ho sempre stretto un rapporto fortissimo con la gente. Non ho mai chiesto trasferimenti.”.

Molti preti si sentono soli…

“La solitudine? Io non so nemmeno cosa sia”.

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













Scuola & Ricerca

In primo piano